Eni, le due facce della stessa medaglia

Eni, le due facce della stessa medaglia

A fine mese scorso, Eni ha presentato il piano aziendale 2002-2023 e, soprattutto, il Piano strategico di lungo termine fino al 2050.

Un piano ambizioso, forse troppo, ma non per l'ad Claudio Descalzi: «la strategia che annunciamo oggi rappresenta per noi un passo fondamentale. Abbiamo disegnato l’evoluzione di Eni nei prossimi 30 anni coniugando gli obiettivi di continuo sviluppo in un mercato dell’energia in forte evoluzione con una significativa riduzione dell’impronta carbonica del portafoglio. Un connubio giudicato da molti quasi impossibile, cui diamo, per primi nell’industria, un contenuto di business facendo leva sulla qualità dei nostri asset, delle nostre tecnologie e delle nostre competenze».

Ecosostenibilità, decarbonizzazione, economia circolare i nuovi termini di sviluppo: «l’Eni del futuro – prosegue l’amministratore delegato – sarà quindi ancor più sostenibile. Sarà rinforzata nel suo ruolo di attore globale nel mondo dell’energia, arricchita da business quali le rinnovabili e l’economia circolare, oggi ai primi passi ma con uno sviluppo futuro di rilievo e altamente connesso ai business esistenti.

La produzione oil & gas, che prevediamo raggiunga il plateau nel 2025, sarà destinata a ridursi negli anni successivi, principalmente nella componente olio. Ne risulterà un portafoglio ancor meglio bilanciato e integrato che farà della flessibilità e della remunerazione competitiva i suoi ulteriori punti di forza. Abbiamo poi quantificato i target di riduzione della nostra impronta carbonica. Per primi ci siamo dati una metodologia di calcolo delle emissioni omnicomprensiva che include emissioni dirette e indirette derivanti dall’uso finale dei prodotti, indipendentemente dal fatto che siano di nostra produzione o acquistati da terzi».

Un piano dunque ambizioso ma consapevole, almeno a parole: «abbiamo disegnato una strategia – conclude Descalzi - che coniuga la sostenibilità economica con quella ambientale e l’abbiamo declinata progettando azioni che abbiamo già dimostrato di saper realizzare. Ciò consentirà a Eni di essere un leader nel mercato a cui fornirà prodotti energetici fortemente decarbonizzati contribuendo attivamente al processo di transizione energetica».


Agli obiettivi a lungo termine (fino al 2050) corrispondono misure ed interventi inseriti nel piano aziendale di breve periodo (fino al 2023), in tutti gli asset aziendali, a partire da quel che rimane per ora il core business della multinazionale, ossia l'upstream, per proseguire con le rinnovabili, chimica, gas & power e, non ultimo, il refining & marketing nel quale l'obiettivo oramai dichiarato è il mantenimento della raffinazione convenzionale solo nella raffineria tradizionale di Ruwais negli Emirati Arabi Uniti, in virtù della posizione geografica ottimale e all’efficienza degli impianti; a cui si affiancano l’espansione della capacità di raffinazione “bio” fino a oltre 5 milioni di tonnellate per anno, alimentata esclusivamente con cariche palm oil free di II e III generazione, in aree target quali estremo e medio oriente, Europa per la produzione di bio jet fuel e Stati Uniti; nonché lo sviluppo di iniziative di economia circolare con la progressiva conversione dei siti convenzionali italiani a vantaggio di nuovi impianti per la produzione di idrogeno, metanolo, bio-metano e prodotti dal riciclo di materiali di scarto.

Il messaggio che viene dato in pasto all'opinione pubblica nazionale è quella di un cane a sei zampe che riduce progressivamente la produzione di idrocarburi a cui fa da contraltare la crescente incidenza delle produzioni gas, accanto la conversione delle raffinerie europee in impianti “bio”, per la produzione di idrogeno e per il riciclo di materiali scarto. Un'immagine ecosostenibile in cui a fare da modelli sono i siti "green" antesignani di Venezia e Gela. Nel 2019 sono proseguite le attività di espansione del business di generazione rinnovabile, delle “bio-raffinerie”, con l’entrata in produzione di Gela, e di miglioramento del profilo carbonico del portafoglio Eni, in preparazione del piano di maggiore espansione che verrà perseguito nei prossimi anni.

Ma dietro questo messaggio opportunamente ed abilmente fatto filtrare da Eni a livello nazionale, c'è la realtà occupazionale locale che continua a pagare dazio. Con la fine della raffinazione tradizionale e la riconversione green, i lavoratori del diretto sono stati allocati ovunque, in Italia come all'estero, con relative famiglie letteralmente spezzate, mentre per i lavoratori dell'indotto la prospettiva è stata identica o ben peggiore, poiché tale è il licenziamento.

L'ultimo caso balzato agli onori della cronaca è la vertenza per i 9 lavoratori della Trainito Costruzioni, licenziati sei mesi fa allorquando l'azienda gelese ha deciso di non proseguire più con l'appalto che l'Enimed gli aveva concesso in ati con un'altra azienda gelese, la Sdl della famiglia Lorefice.

Una decisione che è costata il posto di lavoro per i 9 lavoratori gelesi che dopo mesi di rivendicazioni, hanno ora innalzato il livello della protesta, dapprima incatenandosi davanti all'ingresso Enimed, per poi manifestare sulla statale 117 bis, sempre nei pressi del centro direzionale Enimed, con la minaccia soprattutto di azioni ancor più eclatanti: «francamente le abbiamo tentate tutte – ci risponde il sindacalista della Cgil Ignazio Giudice  – per non arrivare a questo punto. Sin da quando la Trainito costruzioni ha deciso di non proseguire l'appalto aggiudicatosi anni fa, licenziando i lavoratori, come sindacato abbiamo iniziato il percorso previsto dalla legge, passando attraverso ufficio del lavoro, prefettura, comune, senza cavare un ragno dal buco.

In tutto ci sono stati tre incontri in prefettura, due all'ufficio del lavoro, altrettanti in municipio con sindaco e vicesindaco che è pure assessore al ramo. Intanto, l'Enimed non solo sta a guardare, ma proroga di un anno l'appalto alla Sdl che era in Ati con la Trainito, nonché alla ditta Di Cataldo di Gagliano che di fatto è subentrata alla Trainito costruzioni. Ma nessuna delle due assorbe i nove lavoratori che da 25 anni operano nell’indotto Eni, costretti ad incrociare le braccia».