Vicenda Ipab, sul banco degli imputati chiesa, politica e imprenditoria

Vicenda Ipab, sul banco degli imputati chiesa, politica e imprenditoria

Un prete agli arresti domiciliari, due consiglieri comunali e un imprenditore  sottoposti all'obbligo di firma (tre volte la settimana per 12 mesi) e il divieto nei loro confronti "di esercitare per un anno uffici direttivi in imprese o società".

Gela si è svegliata con questa novità, martedì scorso, incredula, stupita ma anche indignata, con i nomi dei quattro "indagati eccellenti" che passavano di bocca in bocca mentre i carabinieri del locale Reparto territoriale e del Comando provinciale di Caltanissetta eseguivano i provvedimenti restrittivi emessi dalla magistratura nell'ambito dell'operazione di PG denominata "Avarizia".

Il sacerdote è il gelese don Giovanni Tandurella, di 50 anni, ex parroco di Santa Maria di Betlemme a Gela e ora parroco della cattedrale di Piazza Armerina; i due consiglieri comunali, entrambi appartenenti al partito Fratelli d'Italia, sono Salvatore Scerra e Santina "Sandra" Bennici; l'imprenditore è l'ingegnere Renato Mauro, ex direttore generale del Comune di Gela. 

Sono accusati, a vario titolo, di truffa, appropriazione indebita, riciclaggio, favoreggiamento, falsità ideologica e circonvenzione d'incapace. Oltre a loro ci sarebbero altre 15 persone indagate, tra cui un notaio con studio in Gela e due suoi impiegati accusati di tentata truffa e falsità ideologica. Tacendo l'inganno, avrebbero favorito l'intestazione al prete di un lascito testamentario (immobili e denaro pari a un milione e 312 mila euro) che invece la proprietaria, ospite della casa di riposo, voleva donare all'Ipab. Sono stati i carabinieri a scoprire l'imbroglio e a permetterle di correggere il testamento.

Il Gip ha perciò disposto il sequestro preventivo di beni del prete pari alle somme di cui si sarebbe appropriato fino a quel momento: denaro liquido e beni immobili pari a 112 mila euro, tra cui un appartamento e diversi suoi conto-correnti. 

Secondo l'ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica di Gela, accolta dal Gip del tribunale, Roberto Riggio, il piano degli indagati prevedeva l'affidamento illecito a privati dell'Ipab "Antonietta Aldisio", di via Europa, meglio noto come casa di riposo per anziani di Gela, di cui don Tandurella è stato a lungo presidente.

Il prelato, nel 2019, avrebbe ceduto senza gara d'appalto e ad un canone di gran lunga inferiore rispetto a quello di mercato, la gestione in affitto dell'Ipab "Antonietta Aldisio" alla ditta "La Fenice" dell'ingegnere Mauro in cambio di  "favori di varia natura – scrivono gli inquirenti – nonché somme di denaro versate ad un suo congiunto", un nipote del prete. 

L'operazione avrebbe trovato nei due consiglieri comunali una sponda favorevole e interessata alla sua buona riuscita. Sandra Bennici, infatti, fa parte dei vertici direttivi della Rsa Caposoprano appartenente allo stesso Mauro mentre Totò Scerra ha svolto l'incarico professionale di direttore tecnico all'Ipab durante la breve gestione de "La Fenice". Fra il prete e i due consiglieri comunali ci sarebbe stato una sorta di rapporto di mutuo soccorso.

Ad inchiesta aperta, Scerra avrebbe "favorito" don Tandurella fornendo informazioni per permettergli di eludere le indagini sul sacerdote. Dagli "amici" don Tandurella avrebbe ottenuto anche l'impegno a raccogliere quante più sottoscrizioni del 5 per mille in favore della Onlus "Antonietta Aldisio", i cui introiti restavano di sua esclusiva gestione. I carabinieri sospettano che parte di questi soldi potrebbero essere stati usati dal sacerdote per comprare un attico a Gela, altri sarebbero confluiti nei suoi conti privati .

Da intercettazioni telefoniche e ambientali, sarebbe emersa la figura di un prete-faccendiere che gestisce ad uso proprio la cosa pubblica, che si appropria del denaro degli anziani prelevandolo illecitamente dai loro depositi, che promette voti e posti di lavoro, che sostiene ora questo ora quel politico ad ogni elezione in cambio di benefici di varia natura.

Le condizioni di vita degli anziani dell'Ipab sarebbero le ultime cose di cui il prete dimostrerebbe di preoccuparsi. Di don Tandurella e del suo "eccessivo attaccamento alle cose terrene" si parlava da tempo in città. Eppure si dice che in Diocesi godesse di grande stima da parte del vescovo Gisana. Quando il sacerdote riceve l'avviso di garanzia viene trasferito a Piazza Armerina: promoveatur ut amoveatur?

L'inchiesta "Avarizia" scatta nel gennaio del 2020 quando ai carabinieri del Reparto Territoriale di Gela giunge una denuncia da parte dei parenti di una quindicina di anziani ricoverati nell'Ipab di via Europa, dove malgrado un sensibile e ingiustificato aumento delle quote di compartecipazione alle rette si sarebbe registrato un grave peggioramento delle condizioni di vita degli assistiti.

L'Ipab ufficialmente era attraversato da una profonda crisi economica e gestionale che ne stava minacciando seriamente l'esistenza. I lavoratori erano senza stipendio da oltre due anni; in cassa non c'erano fondi e tutto sembrava portasse alla chiusura della casa di riposo. Don Tandurella non vedeva più via d'uscita: o cedere in affitto la struttura o chiudere. 

Un privato, diverso da Mauro, si sarebbe fatto avanti proponendo di prendere lui in gestione l'Ipab. Don Tandurella avrebbe opposto però un netto rifiuto adducendo motivi di regolarità amministrativa e richiamandosi alla norma sugli appalti pubblici. Rifiuto che invece sarebbe scomparso quando a proporre di rilevare l'Antonietta Aldisio in gestione a un canone più basso è stato l'ingegnere Mauro con "La Fenice". 

«Oggi, come allora – dice Ignazio Giudice (Cgil) – l'emergenza Ipab costituisce il fallimento della politica e a pagare sono sempre i più deboli, i fragili e gli emarginati della nostra società».

Con la privatizzazione della casa di riposo esplode lo scandalo e la Regione manda un commissario straordinario, Giuseppe Lucisano, che rapidamente annulla  una serie di atti, revoca l'appalto di gestione alla Fenice e riporta in amministrazione pubblica l'Ipab.

Nel frattempo, anche i carabinieri sfogliando le carte e raccogliendo informazioni accertano "episodi corruttivi". Si dicono sicuri di avere messo le mani in un verminaio. E gli accertamenti danno loro ragione.

Sul banco degli accusati in un sol colpo finiscono esponenti di chiesa cattolica, politica, imprenditoria e persino un pubblico ufficiale.

Lo sdegno e la riprovazione dell'opinione pubblica pretenderebbero le dimissioni degli indagati. Invece nulla si muove. Anzi, il prete, interrogato dal Gip, avrebbe rigettato le accuse affermando la propria assoluta innocenza. 

Dichiarazioni che contrastano con i 2 anni di lavoro certosino eseguito da Procura e Carabinieri, concluso con una richiesta di arresti domiciliari per tutti i quattro indagati. Il Gip ha dato il suo ok solo per il prete. 

Ci sarebbe tanto da dire. Eppure il Procuratore Capo, Fernando Asaro, durante la conferenza stampa con il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Vincenzo Pascale, si limita all'essenziale: "stiamo parlando di persone indagate non condannate", ripete Asaro comunicando che gli accertamenti proseguono. Verissimo. In mattinata, altri documenti sono stati acquisiti dai carabinieri in municipio e in casa di alcuni sospettati.

Asaro e Pascale parlano di "indagine complessa" ma si limitano a evidenziare la sinergia che caratterizza l'azione investigativa tra la Procura che la dirige e i militari dell'Arma che la eseguono. Il resto i cronisti se lo procurano dai difensori degli indagati. 

Dagli inquirenti garantismo e cautela.

Buone le intenzioni, lodevoli. Ma quando il fango schizza si sparge da tutte le parti, poi è difficile riuscire a toglierselo di dosso, sia dalla tonaca che dal gonfalone della città ma soprattutto dalle coscienze.

LE REAZIONI: SOLO CHIESA E SINDACO

La Diocesi di Piazza Armerina, da qualche tempo nell'occhio del ciclone per alcuni scandali al suo interno, tra cui il caso del prete pedofilo denunciato dalla trasmissione Le Iene con il tentativo del vescovo di mettere tutto a tacere con l'offerta di 25 mila euro di risarcimento, è intervenuta nella vicenda dell'Ipab Antonietta Aldisio di Gela con un breve comunicato che esprime fiducia nella Magistratura. 

"In merito alla notizia del provvedimento della Procura di Gela con il quale si dispongono gli arresti domiciliari per il Rev. Don Giovanni Tandurella, la Diocesi esprime la massima fiducia nell’operato della Magistratura auspicando che al più presto venga fatta chiarezza sui fatti avvenuti nelle sedi opportune".

Tacciono invece i due consiglieri interessati. Non rispondono al telefono. Tramite messaggi whatsapp chiediamo se intendono fare dichiarazioni. Risponde solo Totò Scerra: "Devo parlare e valutare con i miei legali". 

Sia lui che la Bennici fanno sapere però che non intendono dimettersi dall'incarico di consigliere comunale.

Il sindaco Lucio Greco, affida a una sua dichiarazione la posizione dell'intera giunta. Ho voluto attendere che ulteriori dettagli emergessero dalla conferenza stampa in Procura, prima di esprimermi sulla grave vicenda dell’Ipab Aldisio. Una vicenda che non fa bene all’immagine della città, ma che è importante perché lancia un messaggio ben preciso: lo Stato c’è e la legge fa il suo corso. Nessuno può pensare di agire illecitamente e non essere scoperto. 

Naturalmente, non è affatto il momento delle sentenze, ma voglio comunque esprimere la mia vicinanza alla Procura e agli organi inquirenti per il lavoro  condotto in questi due anni, oltre che, ovviamente, alla magistratura. Quello che si sta scardinando sembra essere un sistema fraudolento e corrotto, ed è giusto che vengano fuori fatti e nomi. I Carabinieri, questa mattina, sono arrivati anche a Palazzo di Città ed è stata l’occasione per dare e garantire la massima collaborazione per il presente e il futuro dell’indagine. In tutto questo, credo che un doveroso ringraziamento vada anche alle vittime che non si sono lasciate intimidire, non si sono voltate dall’altra parte, non hanno subito passivamente, ma hanno denunciato con determinazione e coraggio».