Lo sfregio dell’identità dell’antico centro storico

Lo sfregio dell’identità dell’antico centro storico

Nella seconda metà degli anni Cinquanta e in particolare negli anni a seguire, gli amministratori della nostra città subirono uno stravolgimento cerebrale, definiamolo così per non dire altro, che li fece diventare “paladini della modernità” a tutti i costi e ciò a danno del cosiddetto “vecchio”; infatti, proprio da quegli anni in poi iniziò un attacco sistematico sia all’impianto urbanistico medievale sia ai palazzi ottocenteschi e alle chiese antiche del centro storico di Gela.


Iniziarono con l’eliminazione dei basolati di pietra lavica del Corso e delle vie adiacenti per ricoprirli prima con mattonelle e poi con un manto completo di asfalto; che fine abbiano fatto le numerose basole divelte non si sa, però, il lettore è libero di azzardare qualsiasi ipotesi. Non contenti di questa prima azione distruttiva nel centro storico murato si continuò con i basolati di pietra bianca ragusana delle strade secondarie e soprattutto di quelle dei cortili e se rimase qualcuno integro ci hanno pensato i privati a cambiarne i connotati, vedi i cortili del quartiere Santa Maria di Gesù.

Così nell’arco di una ventina d’anni fu totalmente azzerata l’antica basolatura delle vie e dei cortili che rendeva Gela una delle poche città in Sicilia a mantenere ancora tale rara caratteristica.

In verità fino al 1982 erano rimasti ancora i marciapiedi nord e sud del Corso, dal Museo archeologico fino al Cimitero monumentale (circa 1.120 m. moltiplicato per 2), con le grosse basole di pietra ragusana, però, i cosiddetti “cantieri scuola”, istituiti dal nostro Comune, le azzerarono sostituendole con mattonelle autobloccanti; oggi miracolosamente rimane un piccolo esempio di tali antiche basole, anche se squinternate, quelle sul marciapiede a sud della chiesa Madre.

Ma una considerazione che è sfuggita con l’eliminazione della basolatura bianca è stata quella che la temperatura media, anche se di poco, è aumentata nella città in relazione al calore dei raggi solari che prima venivano riflessi, mentre dopo, con l’asfalto e le mattonelle autobloccanti scuri, vennero e tuttora vengono assorbiti.

Nel mentre si procedeva a tale vandalica distruzione dei basolati, peraltro istituzionale, l’attenzione distruttiva si rivolse anche ai palazzi che fino ad allora erano rimasti uguali alla struttura che avevano in antico. Anche qui l’istituzione Comune di Gela con il pool dei dirigenti degli uffici competenti, generosamente e per spirito di carità altrui, fecero la loro parte. Così i cosiddetti “palazzinari” procedettero ad una eliminazione sistematica, ancora più feroce di quella delle basole, dei palazzi ottocenteschi e anche di quelli più antichi.Dagli anni Sessanta in poi, così si iniziò con il Palazzo Ducale (una costruzione a pianoterra che risaliva al periodo federiciano) e un giardino interno che furono azzerati da una impresa di Caltagirone per realizzare al loro posto un casermone di dieci piani, denominato “grattacielo”.

Seguirono l’Albergo Trinacria, del 1870 (in piazza Umberto I) e il palazzo di fine Settecento-inizi Ottocento ad un solo piano in piazza Sant’Agostino; il primo fu sostituito con un palazzo a sette piani, il secondo con uno a otto piani con il risultato di aver stravolto mortalmente l’antica architettura delle stesse due piazze, anche se a completare il degrado architettonico di piazza Sant’Agostino ha provveduto, a nostro modesto avviso, il recente progetto “Una via, tre piazze” con l’impianto peraltro dei cosiddetti “tabbuti”.

Seguirono dopo, o quasi contemporaneamente, altri diroccamenti di antichi edifici sul Corso Vittorio Emanuele come quello del palazzo Panebianco (già sede dell’Upim), del pianoterra del Banco di Sicilia (all’angolo tra il Corso e via Giacomo Navarra Bresmes), di metà palazzo Drogo-Di Bona, del pianoterra contiguo a palazzo Tedeschi, del palazzo Rosso di San Secondo (all’angolo del Corso con via Cattuti) e il palazzo Porreca in via Morso, quest’ultimo un unicum architettonico forse rinascimentale. Sicuramente ce ne sarà sfuggito qualche altro. E se la distruzione di altri antichi palazzi a Gela si arrestò lo si dovette ad una provvida legge dello Stato che bloccò lo scempio di antichi palazzi dei centri storici.

In tutto questo disastro architettonico prodotto a Gela ci andarono di mezzo anche le antiche chiese con annessi conventi; infatti furono azzerati le chiese di Santa Lucia (del sec. XVI in via De Sanctis), di Sant’Antonio Abate (del periodo rinascimentale in piazza San Francesco) e i conventi dei Padri Conventuali (del sec. XV, attiguo alla chiesa di San Francesco d’Assisi, sul cui posto all’inizio degli anni Cinquanta fu realizzato l’attuale Municipio) e dei Padri Cappuccini, quest’ultimo forse risalente al XIII sec. e l’unico con chiostro che era rimasto dei tanti eliminati in precedenza

.A corredo di quanto scritto mi piace aggiungere una notizia, definiamola così, quella relativa all’archivio storico comunale e alle lapidi all’interno della chiesa di Sant’Antonio e del vecchio Municipio, lapidi di quest’ultimo dedicate ai patrioti della nostra storia risorgimentale.

Quale fu la loro fine? Una buona parte dei faldoni, zeppi di carteggi, del vecchio archivio storico comunale fu portato al macero con un danno incalcolabile alla storia della città mentre le lapidi fecero una fine disdicevole, infatti, furono divelte e trasferite al campo sportivo dove furono utilizzate come marmo per le latrine. Che fine indecorosa!!