Gela tradita e isolata ha un gran bisogno di una seconda vita

Gela tradita e isolata ha un gran bisogno di una seconda vita

Ho il privilegio di intervenire dopo Giuseppe Clementino, Franco Salinitro e Sebastiano Abbenante, da cui traggo spunti e riflessioni.

Parola d’ordine Cultura, questo il suggerimento dei due architetti che mi hanno preceduto con i loro contributi su questo giornale, per aprire la città. Una città chiusa, invece, secondo Abbenante.
Come dagli torto?

 Gela oggi paga molto caro l’autarchia di un tempo, causata da una ricchezza indotta dallo stabilimento che ha garantito risorse ai cittadini, ma anche alle casse comunali attraverso le royalties. «Ci sono due parole che ritornano frequentemente nei nostri discorsi: anzi sono le parole chiave dei nostri discorsi. Queste due parole sono “sviluppo e progresso”…».

Scriveva così nei suoi scritti corsari Pier Paolo Pasolini, uno che di Cultura se ne intendeva. Il grande intellettuale, di cui il 2 novembre ricorreva l’anniversario della violenta e anomala morte, distingueva tra progresso e sviluppo, attribuendo allo sviluppo un’accezione negativa: consumistica, espressione del peggiore esercizio del potere economico. Proprio lo sviluppo (perverso) ha investito Gela, dominata a partire dagli anni sessanta dall’industria calata dall’alto. Col petrolio scoperto in Sicilia Mattei, anche lui scomparso in modo anomalo, prometteva progresso, sviluppo e ricchezza.

L’aereo del presidente dell’Eni è precipitato il 27 ottobre del 1962, poco prima di atterrare a Milano proveniente dalla Sicilia. In quel momento a Gela entravano in funzione i primi impianti del petrolchimico, lo stabilimento Anic inaugurato in pompa magna l’anno successivo. Negli anni del miracolo economico italiano a Gela si narrava il riscatto del Sud, lo manifesta il documentario di Giuseppe Ferrara che nel 1964 mostra la città che fu, con la sua arretratezza, e canta con le parole di Leonardo Sciascia il futuro che sarà, pieno di speranze e soddisfazioni. Cosa è accaduto nei 50 anni successivi lo sappiamo, la scorsa settimana su questo giornale Sebastiano Abbenante lo ha riassunto molto bene. Decenni di benessere, di potere politico e sindacale vissuti all’ombra delle ciminiere, finiti nel 2014 in poche pagine scritte altrove e, ancora una volta, calate dall’alto:

riconversione, ristrutturazione, “l’Eni ha perso con lo stabilimento di Gela due miliardi di euro”, si legge nel protocollo d’intesa firmato da tutti: sindacati, presidente della Regione (il gelese Rosario Crocetta), sindaco del tempo compreso. In maniche di camicia, tra un selfie e l’altro, il primo ministro dell’epoca Matteo Renzi assicurava che la vertenza Gela era chiusa. Si riparte, la novità è che non si sa dove si va. I gelesi, perplessi, sanno che questa volta per l’Anic è veramente finita. È l’anno dei mondiali brasiliani, i padroni di casa vengono umiliati in finale dalla Germania, più modestamente i cittadini di Gela vengono umiliati dai padroncini del vapore. Tra questi i signorotti dell’assemblea regionale che, a seguito della strombazzata ma falsa abolizione crocettiana delle Province, stabiliscono delle regole per le città che vogliono cambiare area sovra comunale, per poi stracciarle in faccia a 23 mila gelesi che hanno votato al referendum per separarsi da Caltanissetta.

Gela alla perenne ricerca di una svolta, tradita da ingannatori che arrivati al palazzo (d’Orleans) hanno scordato le “umili” origini. Popolazione non rassegnata che non ha avuto paura di gridare in faccia al governatore della Sicilia tutta la sua rabbia, e di mandare a casa il sindaco del protocollo d’intesa con l’Eni. Brillano le stelle in municipio, quelle grilline, per riscattare la città dalle “malefatte” del ventennio precedente, quando a Gela la stella polare era univocamente il centrosinistra: un tempo difensore degli operai, poi diventato amico del padrone. Il mostro a petrolio di piana del signore resta li, più saldo che mai. Non dà lavoro come una volta, ha spento molti impianti, ma non molla, forse suo malgrado, la guida della città. Ecco cosi che in pochi mesi si spengono le “stelle” del cambiamento, il nuovo sindaco inizia un cammino a vista, un percorso amministrativo e politico che, dopo qualche tentativo andato a vuoto, lo porta ad essere sfiduciato dal consiglio comunale.

Tutti a casa, si pensa alle nuove elezioni che dovrebbero svolgersi nella prossima primavera. Gela resta isolata, insabbiata come il suo porto che da sempre rappresenta una delle tante opere della città, molte volte annunciate e mai iniziate. La Siracusa - Gela, ironico nome di un autostrada infinita che, per il momento, finisce nel ragusano. La fantomatica circonvallazione. Il raddoppio della statale Gela – Catania, trafficata e pericolosa arteria di collegamento con l’agognato capoluogo etneo. Opere tutte confermate dal nuovo governo regionale: si cambia dal centrosinistra al centrodestra, le promesse restano i fatti, quasi sicuramente, no. Chi non resta sono i giovani, quelli che possono permettersi di iscriversi all’università, due su tre vanno fuori dalla Sicilia, “fuggono” da Gela, anticipando un destino già scritto.

Questa è la Gela che bisogna traghettare nel suo futuro, chi la vuole guidare sappia che della “vacca”, un tempo grassa, è rimasto solo lo scheletro. Si facciano da parte, perciò, i mediatori “d’affari” e coloro che eleggono vassalli nisseni: il progetto Gela è dei gelesi! Via i “fantasmi” che condizionano, da troppo tempo, la città. Avanti coloro che sanno pensare e guardare agli interessi della collettività, #Vertenza Gela è li che aspetta. Gela città aperta, si è detto, ha bisogno di collegamenti non solo strutturali ma soprattutto culturali. Al prossimo consiglio comunale, al prossimo sindaco e alla giunta, rappresentanti dei cittadini gelesi e non delegati di politici nisseni, il compito di affrontare, chiarire alla città e risolvere i tanti dossier aperti: il rapporto con l’Eni e il suo perimetro industriale; la raccolta differenziata che ha creato debiti e lasciato sporcizia; il fantomatico “progetto ciliegino” di cui si parla da anni; i nuovi quartieri dormitorio e il centro storico sempre più abbandonato; il mare e la spiaggia di Gela, cantata da Quasimodo e ancora ignorata da tanti.

Per gestire questo e altro, per guidare una città al bivio c’è bisogno di cambiare metodo ancor prima che persone. Per questo è necessario creare riferimenti universitari, con i quattro atenei siciliani; definire fasi e tempi rispetto alle infrastrutture; pensare Gela al centro di un’ampia area sovra comunale, CaltaGela, dove Calta non sia necessariamente Caltanissetta. La vertenza Gela deve avere un posto di rilievo a livello regionale e nazionale, ai rappresentati gelesi dei due parlamenti l’invito a iniziare il percorso: noi ci saremo. #Gela è viva!