Terranova, anno 1772, quando  la pandemia aveva un altro nome: Peste

Terranova, anno 1772, quando  la pandemia aveva un altro nome: Peste

“Mentre nulla di triste sentivasi per la Sicilia, ad un tratto fu turbata la comune quiete per sospetto di peste…”

Immergiamoci nel Settecento con l’animo sgombro dal Covid 19, accarezzando il linguaggio del Settecento, allo scopo di conoscere una pagina inedita della storia della città di Terranova. Siamo nel 1772,  nascono ovunque in Sicilia i germi del ribellismo che avrebbero provocato nel secolo successivo tumulti e rivolte che anticipano i moti libertari del 1812 e del ’48. 

Il malessere della plebe si alimenta anche dei frequenti allarmi di epidemie. 

Dalla città di Terranova, inizia qui la storia, giungono “voci” dell’esplosione di una epidemia di peste. Le “voci” suscitano comprensibili timori nella Capitale, Palermo, sede del Vicerè. La gente di Terranova è ignara, e lo rimarrà per lungo tempo, fino all’arrivo della Commissione Generale di Sanità. Il Vicerè è stato informato del naufragio di una nave ragusea comandata dal Capitano Andrea Franovich carica di cotone nella marina di Branco in Calabria.

La notizia del naufragio non avrebbe mai varcato lo Stretto se dei pescatori taorminesi non avessero introdotto “porzioni” di cotone nella loro città, mettendo in allarme la Deputazione di Salute di Messina, la quale ordina “che la città di Taormina fosse circondata da soldatesca” dando “di tutto avviso alle altre città del Regno, acciò avessero preso opportuna precauzione.”

“Un allarme generale successe dappertutto, scrive Di Blasi, ma fattesi quindi le dovute diligenze svanì ogni timore e ritornò la calma nel petto di tutti. Eppure, annota lo scrupoloso cronista, “per un simile evento fu in Malta bruciato un bastimento veneziano, venuto d’Alessandria ch’era molestata dalla peste. ”La quiete è fasulla, non è affatto arrivata “nel petto di tutti”, se i maltesi, spaventati dalle notizie provenienti dall’Egitto, danno alle fiamme una nave. 

Siamo nel mese di dicembre 1772, in Sicilia regna Ferdinando IV di Borbone, per grazia di Dio e soprattutto per volontà delle monarchie europee, imparentate fra loro e pronte a ridisegnare la mappa dell’Europa ad ogni matrimonio di convenienza. La Polonia, tanto per dire, viene spartita fra russi e prussiani. Ogni nuovo padrone detta legge, e talvolta la legge è peggio della peste o del colera, e provoca tumulti della “plebaglia”, presto sedati, ma fonte di preoccupazione per i regnanti.

A sollevare la testa della “plebaglia” contribuiscono le novità che vengono dall’Inghilterra, dove è stata abolita la schiavitù e le fabbriche nate con la rivoluzione industriale sono in crisi a causa dell’invenduto. Troppo striminzita la cerchia di uomini in grado di acquistare i costosi prodotti. Pochi ricchi, una folla sterminata di poveri. Per un verso o l’altro, la “plebaglia” è incazzata e quando trova il modo di sfogare la rabbia lo fa a suo modo, scatenando tempeste seppur di breve durata.

Ferdinando, “re utriusque Siciliae, Gerusalemme ecc”, è assiso felicemente sul trono a Napoli, e ha destinato a Palermo nella qualità di Vicerè il Marchese Fogliani, che gode di una controversa fama. Ha reso molti servigi alla Corona dei Borboni, è stato ministro, ma è invischiato fino al collo negli intrighi di palazzo. Promoveatur ut amoveatur, dunque; promosso al fine di essere rimosso. 

I tumulti della “plebaglia” l’avrebbero costretto a fuggire da Palermo tra fischi e insulti alla Marina mentre s’imbarca alla volta di Messina dove sceglie di risiedere per allontanarsi, appunto, dalla “plebaglia”. 

Il Marchese, piacentino di  nascita, cortigiano di professione, si barcamena fra venti di maestrale e di scirocco che soffiano nelle stanze del Vice Reame, a Palazzo Reale di Palermo. E’ incerto, irresoluto, ascolta e si adegua, non governa di testa sua. E i sudditi lo sanno. 

Così vanno le cose quando giunge notizia di una nave veneziana incendiata nel porto di Malta perché proviene da Alessandria d’Egitto, dove la peste miete vittime. Le voci della peste di Terranova trovano terreno fertile per essere credute. Terranova, tra l’altro, mantiene tradizionalmente rapporti commerciali con Malta.  Le voci, popolari e incontrollate, partono da Terranova, lambiscono le città vicine, Licata e Piazza.

Ed è da qui, da Piazza e Licata, che le voci si materializzano e divengono atti di governo. Sono i Giurati di Licata infatti a prender cappello, e scrivono al Protoconservatore e sindaco di Piazza Armerina perché, diremmo oggi, si dia una mossa. Non si muove niente se non si mette nero su bianco. Le voci restano voci, le carte sono fatti. La qualcosa, capirete, è fonte di grossi guai, da sempre. In più la burocrazia vuole la sua parte. Ed a quel tempo, la sua parte è talmente grande da condizionare Vicerè ed i sovrani. Giusto come ai nostri tempi.

Il viaggio “formale” delle voci comincia a Licata, sosta a Piazza, per ripartire alla volta della Capitale. Quando arriva, dunque, è un fatto. Ed il fatto produce altri fatti. Il Viceré Fogliani assegna il “caso” alla Deputazione Generale di Salute e questa invia un dispaccio al Cavaliere Deputato Ferdinando Logerot, esperto di salute pubblica. Sarà lui a comporre e guidare la Commissione Generale di Sanità per svolgere indagini  all’oggetto della salute di Terranova, con tutte le facoltà e giurisdizioni, anche pel Criminale”. 

La vicenda acquista i contorni dell’eccezionalità e fatalmente fa crescere i timori sul morbo, contagioso e letale.  E’ stato risolto”, si legge nel Dispaccio inviato a Logerot, “che per accorrere con celerità ai convenevoli ripari in un affare tanto interessante a Sua Maestà e al Regno tutto, e per estrinsecare colla maggiore possibile circospezione e destrezza una circostanza tanto rimarchevole, di scegliere la persona di Voi Cavaliere D. Ferdinando Logerot, affinché in qualità di Senatore Deputato di quella, sia appurato se la notizia fosse vera, e affinché attraverso l’uso delle necessarie diligenze e cautele, sia appurata la qualità del morbo nei suoi effetti, malgrado di avere destinato colà un Attuario.”

La Deputazione Generale di Sanità avrebbe dovuto ricevere notizie utili dall’Attuario, un delegato di grado inferiore, ma di questi si sarebbero perse le tracce. La peste di Terranova guadagna i galloni del mistero. 

Che fine ha fatto l’Attuario? 

Gli ordini trasmessi con il dispaccio sono una minuta elencazione di compiti, e non trascurano alcun dettaglio. Il Cav. Logerot è invitato a dirigersi “nella vicinanza di detta Città di Terranova e ivi con l’assistenza del Consultore Fisico dott. D. Michele Micciulla, estrinsecare dovrete la verità di quanto successo o per dare tutti i ripari e le precauzioni che sono proprie del vostro zelo ed onoratezza più volte e in altre occasioni sperimentate, in una emergenza che di qualunque maniera fosse, è bastevole a pregiudicare notabilmente il Regno, sia di salute sia di pubblico commercio.

La marcia della Commissione Generale deve procedere, dunque, con cautela, e raggiungere le vicinanze di Terranova allo scopo, presumo, di evitare che i suoi membri subiscano il contagio. 

Ad ogni pausa, durante il viaggio di avvicinamento, Logerot dovrà inviare “distinto ragguaglio di ciò che farete per rilevare, distribuendo insieme tutte quelle provvidenze che stimerete più confacenti al concetto semprecché l’accidente fosse da voi considerato funesto.” 

Intenda bene il Commissario speciale, dovrà dare informazioni e riceverne “per disgombrare ogni ombra ed ogni sinistra impressione che tenesse il Regno tutto in sollecitudine.” Missione delicata, dunque, e non scevra da pericoli di fraintendimenti. Palermo, par di capire, sospetta che le voci del morbo siano state alimentate ad arte e con qualche fine, che Logerot dovrà scoprire. “E siccome ci fidiamo  della vostra singolare attività e zelo che farete per farne, valendovi nella Commissione suddetta per Maestro  Notaio di D. Giuseppe Melodia, soggetto molto pratico per gli affari di salute.”

Il dispacccio è un distillato esemplare di linguaggio burocratico, una ingegnosa elaborazione di attestati di stima, una puntuale collezione di responsabilità, mimetizzata da manifestazioni di fiduciosa attesa. La “concessione” del potere, pur larga e senza limiti, nasconde la gravità di un insuccesso. La Commissione generale può fare di tutto, può servirsi di ogni risorsa, può dettar legge, ma deve affrontare e risolvere il problema.  Se la gente muore la soldatesca dovrà stringere d’assedio la città, come si è fatto a Taormina, se invece si tratta di una notizia falsa, qualcuno dovrà risponderne. 

Non bisogna farsi incantare dalla retorica, dal lessico borioso ed astuto: il potere delegato deve assolvere al ruolo che gli spetta, aggiustare le cose. E se non vi riesce, sono guai. La peste va governata, vera o no, e chi deve pagare paghi, a cominciare dai suoi propagatori. “A questo effetto”, impegna il dispaccio, “alla Commissione Generale diamo ogni autorità e potestà necessarie, ac Vices o Voces nostros, e di quella suprema Deputazione Generale di Sanità, e di dovere ubbidire con ogni esattezza  e puntualità tutte quelle ordinazioni che loro verranno da voi dirizzate, come se fossero ordini nostri, e non contravvenire a tutto quello che sarà da voi disposto, e che debbano provvedere ai vostri Ministri, servitori e Persone che verranno in vostra compagnia con dare tutte quelle disposizioni e provvidenze che stimerete necessarie o per impedire i progressi del morbo sempre che fosse (Dio non voglia) contagioso o per disimpressionare la voce colla assicurazione…

Così ordiniamo a tutti che vi debbano prestare il loro braccio, aiuto e favore tutte le volte che da voi ricercato di onorato e decente alloggio con tutte le cose necessarie gratis, che vi diano tutti quelli compagni della Prammatica che vi faranno bisogno per accompagnarvi ad un altro luogo sotto la pena di 7.200 (grani) per ognuno che contravverrà, di applicarsi da questo illustre Senato e Deputazione di Salute a chi si possa imporre… Allo stesso oggetto, se avete bisogno di prendere processo criminale contro di qualsivoglia che crederete facere, vi accordiamo e concediamo anche la facoltà di potervi scegliere in qualunque luogo Avvocato per vostro Assessore e qualsivoglia Attuario, ed altri Ministri che riterrete necessari all’uopo, dovendo per tutto essere ubbiditi ed eseguiti i vostri ordini.”

La Commissione Generale si avvicinò a Gela, alla città di Terranova, con prudenza e circospezione, pronta all’accerchiamento. Ma poté appurare, entrando a Terranova, che la notizia era destituita di fondamento.  Nessun appestato, nessun morbo, nessun malato. I terranovesi erano solo incazzati, ma per altre ragioni, la prima fra tutte la povertà. L’indagine alfine di trovare i responsabili della falsa notizia sarebbe stata condotta a termine con successo. Vengono scoperti, come autori del falso allarme, due uomini. Interrogati ed arrestati, sono  condotti a Palermo in catene. Missione compiuta, come richiesto dal Viceré e dalla Generale Deputazione di Sanità. 

La vicenda lascia tanti punti oscuri. I Giurati di Licata e Piazza, latori della falsa notizia, vengono scagionati? Non c’è notizia dell’Attuario, l’uomo incaricato di dare informazioni preliminari. Non si spiegano le ragioni per le quali è stata divulgata la notizia e per quale motivo essa non ha provocato alcuna conseguenza a Terranova, dove pare che la “voce” non circolasse.  L’unica cosa certa, di questa impostura, è la preparazione dei Deputati e dei Senatori, notai, ministri e servitori, ospitati gratis per ordine del Viceré, e il pigro zelo del Commissario speciale, Logerot, sodale del Marchese Fogliani.