Il presidente del Tribunale Riggio: «Dimenticati dagli uomini e da Dio»

Il presidente del Tribunale Riggio: «Dimenticati dagli uomini e da Dio»

"Lavoriamo e viviamo in un tribunale abbandonato dagli uomini e da Dio".

E' l'amaro sfogo cui si è lasciato andare con noi il presidente del presidio giudiziario di Gela, Roberto Riggio, durante una nostra intervista sullo stato della Giustizia in questa frontiera gelese della legalità e sull'inaugurazione dell'anno giudiziario 2022, avvenuta sabato scorso a Caltanissetta.

Un anno che si apre con i soliti problemi tra i quali emergono, in maniera preoccupante la consistenza della criminalità minorile e l'inadeguatezza delle piante organiche di giudici, pubblici ministeri, funzionari e impiegati amministrativi. Carenze e precarietà sono state illustrate, con dovizia di particolari, dalla presidente del distretto di Corte d'Appello di Caltanissetta, Maria Grazia Vagliasindi nella sua relazione alla cerimonia inaugurale.

Quel che è venuto fuori è un quadro complessivo dell'amministrazione della giustizia in condizioni emergenziali, aggravato dalla pandemia di Covid 19 che ha reso ancora più difficile il lavoro di magistratura e forze dell'ordine. 

«Il Tribunale di Gela – ha detto, Vagliasindi, esaminando i presidi giudiziari del distretto – continua ad attraversare una situazione di grave emergenza a causa delle insostenibili scoperture registrate per nevralgiche posizioni funzionali, con un 60% di scopertura» nelle figure apicali. Più volte si è rischiata la paralisi di delicati settori giudiziari.

Lo denuncia la stessa relatrice nel proprio documento: «Si è registrata la grave difficoltà da parte del personale amministrativo di governare gli imponenti flussi di lavoro, specie nelle cancellerie della volontaria giurisdizione, delle esecuzioni immobiliari e delle procedure concorsuali».

Pochi i giudici. «La pianta organica prevede 14 magistrati, e specificamente il presidente, un presidente di sezione, 12 giudici togati e 8 onorari».

Maria Grazia Vagliasindi ricorda poi che per tutto il precedente anno giudiziario a Gela è rimasta vacante la posizione di presidente del tribunale. A svolgere le funzioni di reggente è stata chiamata Miriam D'Amore, la "presidente della sezione penale ma senza esonero dal lavoro ordinario e in assenza di dirigente amministrativo".

Il vicariato è durato fino all'insediamento del titolare, il presidente Roberto Riggio, avvenuto l'11 di settembre del 2021. Ma la pianta organica è rimasta comunque scoperta mediamente per il 25% con punte del 50% nel "penale" malgrado l'arrivo di tre nuovi "tirocinanti". E da settembre un altro posto risulta scoperto data l'assenza per maternità di una dei neo-nominati. 

Questi "giudici ragazzini", come li definì nel 1991, il Capo dello Stato, Francesco Cossiga, quando venne a inaugurare il tribunale di Gela, possono chiedere il trasferimento dopo 3 anni di permanenza nella loro prima sede. E siccome qui arrivano prevalentemente magistrati di fresca nomina, c'è un gran viavai con inevitabili ripercussioni sui tempi della giustizia.

"Da uno studio sul turn over dei magistrati in Italia - ci ha detto il presidente, Riggio – il tribunale di Gela è risultato al primo posto con il 72% del suo personale che sceglie di andar via dopo 3 anni di permanenza per avvicinarsi alla propria città di origine". Questo continuo alternarsi di giudici crea difficoltà che si ripercuotono inevitabilmente sui livelli di produttività e di efficienza dell’ufficio.

«Abbiamo carichi di lavoro – ci spiega il presidente - che richiederebbero una revisione della pianta organica con un aumento di almeno 3 magistrati. Invece ci lasciano sfiancare, pochi come siamo soli e dimenticati». 

Ci sorge allora il dubbio che il presidente si sia pentito di essere venuto a Gela. E glielo chiediamo. Ma lui ci smentisce subito: «No, non me ne sono pentito affatto. Io sono un uomo cui piacciono le sfide, che ama il suo lavoro, un uomo che lotta. E dunque qui ci sto benissimo perché c'è tanto per cui lottare».

Poi ci annuncia: «Sto per scrivere pure io, come i miei predecessori inascoltati, al ministero della Giustizia e al Csm. Spero che mi ascoltino perché dico le stesse cose che hanno scritto nella loro relazione finale i componenti della Commissione interministeriale  per la Giustizia nel Sud ovvero che «la pianta organica di un presidio giudiziario va determinata sulla base del carico di lavoro, del turn over dei suoi magistrati e sull'incidenza dei procedimenti riguardanti la criminalità organizzata».

Ma c'è scetticismo. Il procuratore capo, Fernando Asaro fa notare che "è da molti anni che si scrivono queste cose e che puntualmente restano conservate nel cassetto delle buone intenzioni". Anche l'organico dell'ufficio che dirige, con appena 6 unità, è sottodimensionato. Occorrerebbero almeno altri due "sostituti". Eppure si fanno carico di una enorme mole di lavoro. Una situazione assai difficile che, con dati alla mano, il Procuratore Asaro illustrerà, la settimana prossima, ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa.

A Gela l'incidenza del fenomeno mafioso nel volume di "affari giudiziari" è elevatissima perchè qui le "cosche" non sono solo le due che tutti conosciamo, cioè "cosa nostra" e "stidda". La presidente, Vagliasindi, scrive infatti nella sua relazione, che "ha operato anche il cosiddetto clan Alferi presente esclusivamente a Gela" e che "manovali" minorenni arruolati sempre più numerosi dalle cosche vengono utilizzati nei traffici illeciti per "stupefacenti, danneggiamenti, reati contro il patrimonio in genere". 

«Si tratta di un dato – sottolinea la presidente Vagliasindi – che assume specifica rilevanza nel nostro distretto che ricomprende i comuni di Gela e Niscemi, territori fortemente condizionati dalle precarie condizioni socio economiche delle fasce sociali residenti, nonché dalla presenza di una criminalità mafiosa locale, fortemente radicata sul territorio...».

E poi fa rilevare un’amara realtà, cioè che "l’attività estorsiva, in particolare quella nei confronti dei piccoli esercenti, è rimasta tradizionale fonte di reddito criminale". 

Chi definiva "Gela città derackettizzata" deve rivedere il proprio giudizio e mobilitarsi al fine di riprogrammare gli sforzi per una più incisiva battaglia anti "pizzo" e anti usura. Occorrono più magistrati, più dirigenti in tribunale, più impiegati di cancelleria. Lo hanno gridato forte anche gli avvocati del foro di Gela che con il presidente del Consiglio dell'Ordine e l'intero gruppo dirigente hanno proclamato lo stato di agitazione nella scorsa primavera, inviando le loro rivendicazioni al ministero della giustizia e al Csm. Finora, però, ogni appello è rimasto inascoltato.

Tutto fermo. Come fermi sono i "lavori di manutenzione straordinaria per la realizzazione di una copertura a falde dei tre padiglioni che costituiscono la copertura del palazzo di giustizia di Gela, per la revoca dell'appalto alla ditta inadempiente". Questo problema di edilizia giudiziaria, insieme con le criticità all'impianto centralizzato di climatizzazione del palazzo di giustizia, hanno trovato spazio nella puntuale relazione della presidente del distretto, Maria Grazia Vagliasindi, che auspica "una rapida definizione della procedura". 

Concludiamo questa carrellata di precarietà occupandoci del delicato e importantissimo settore del giudice di pace, pure questo dimenticato e abbandonato malgrado affronti un enorme carico di procedimenti giudiziari. 

Per la presidente Vagliasindi «è gravissimo il deficit di organico del personale amministrativo nell’ufficio del Giudice di Pace di Gela ove sono vacanti 2 dei 3 posti di cancelliere (scopertura 66%). Riferisce il presidente del Tribunale di Gela che il residuo personale del Giudice di pace è assediato da imponenti flussi di lavoro di un ufficio che ha assorbito anche quello delle corrispondenti sedi di Mazzarino e di Niscemi, quest’ultima cessata il 30 marzo 2016». 

E come se non bastasse si sono bloccati i pagamenti proprio ai giudici di pace, il recupero delle spese giudiziarie, l'aggiornamento del casellario, il pagamento dei compensi agli avvocati di imputati indigenti,  le notifiche e le comunicazioni degli atti processuali, producendo, denuncia la Vagliasindi "la sostanziale paralisi delle attività civili e penali dell’ufficio". Insomma, per Gela viene fuori l'immagine di una "Giustizia ingessata" ormai diretta verso la paralisi se da Roma non arrivano risposte urgenti.