Editoriale/Elezioni 2022, benvenuti a Gela, città dell’ospitalità

Editoriale/Elezioni 2022, benvenuti a Gela, città dell’ospitalità

Agli affranti suggerisco di assumere la celebre pillola amara: un po' di zucchero e la pillola va giù.

A trovarlo lo zucchero, però: è questione di buona volontà; per fare un solo esempio, richiamare l’astensione, è un alibi di ferro, per giunta inossidabile. Quando si deve elaborare il lutto in pubblico è la medicina migliore. Se avessero votato loro… Non basta, sfortunatamente. Ci sono altri farmaci da banco, non occorre ricetta, funziona il “fai da te”, che è però impegnativo.

Si deve accendere il brain trust interno, promuovere la partecipazione della pancia, notoriamente il secondo cervello, trascurando nelle analisi, ove possibile, le responsabilità del partito preferito. 

I coach delle squadre di calcio sono una fonte luminosa: quando va male, ricordano le sviste dell’arbitro, la panchina corta, gli infortuni, la cattiva sorte (rimpalli fortuiti, distrazioni, ecc.). Ci sono perdenti professionali, che sanno trasformare l’insuccesso in una vittoria. Ricordate l’onda lunga di Bettino Craxi? Il Psi cresceva di mezzo punto percentuale e lui predicava il futuro, l’onda lunga appunto.

O il metodo Berlusconi: si va diritto ai brogli del nemico, si manifesta la certezza del furto di voti, e si chiede il riconteggio dei dati. Senza compiere passi indietro. Funziona, perché si guadagna tempo, quel che serve, perché si dimentichi com’è andata, lasciando la vittoria rubata dal nemico malversatore nella testa del popolo. Il metodo ha avuto tanto successo, che l’ha adottato Donald Trump, con esiti controversi. 

I fatti, purtroppo, restano come sono. Chi ha perso, ha perso, e chi ha vinto, ha vinto. Ma fino a un certo punto. Dalla sostanziale immobilità dell’elettorato nella prima Repubblica, siamo passati alla ricerca ossessiva del nuovo da provare, come rimedio erga omnes. Qualunque uggia, criticità, crisi (famiglia, imprese…) suscita l’esigenza di provare un nuovo cavallo.

E’ accaduto nel 1994 con Silvio Berlusconi, Prodi, Renzi, Grillo, Salvini: Giorgia Meloni era l’ultima novità ancora inevasa. E gli incazzati l’hanno scelta, senza indugio. Il M5S è stato dimezzato, il Pd s’è acciaccato, Salvini e Calenda ridimensionati.  Il “nuovo” da sperimentare non ha colore politico, ha una qualità fondamentale, la new entry nella stanza dei bottoni. 

Il 26 per cento di Giorgia impallidisce rispetto al successo da vertigine del Cav.: nel ’94 , più del 35 per cento dei consensi; Matteo Renzi, alle europee più del 40 per cento; Salvini, 34 per cento alle recenti europee. Giorgia ha le carte vincenti in serbo: ha pagato in anticipo i costi dell’alleanza di centrodestra, regalando una montagna di seggi alla Lega e un bel po' a Forza Italia. Ha comperato quelli che i finanziari chiamano “futures”. 

Enrico Letta non si è sottoposto al salasso preventivo, è rimasto il nume tutelare del governo Draghi, e si è intestato le bollette del gas, che non sono responsabilità del governo, ma come fai a spiegarlo alla gente che non sa dove sbattere la testa? Sicché il segretario quasi-dimissionario ha finito con il chiudersi all’angolo, in attesa dell’annunciata sconfitta, regalando all’avversario l’effetto vittoria.

Se parti perdente, insomma, in politica, raccogli solo i cocci; sono tuoi, non te li toglie nessuno. Il paradosso è che i sostenitori di Draghi sono stati puniti, ma Draghi, secondo i sondaggi, è secondo solo a Mattarella nella classifica della fiducia. Altro mistero. 

La sconfitta, grazie al proporzionale, premia la rendita di posizione. E’ un lascito della prima repubblica. Salvini e Berlusconi contano quanto Giorgia Meloni, una volta archiviato il risultato. Se il Cav subisce un sopruso – le sue aziende (telecomunicazioni, finanza, ecc) in primis, si torna alla casella di partenza, come nel gioco dell’oca.

Matteo Salvini, forte di ben cento parlamentari o quasi, concordati prima del risultato elettorale, a tavolino, si sente in una botte di ferro, altro che sconfitta bruciante (ha perso 14 punti percentuali rispetto alle europee). Non ha nemmeno bisogno di fingere la contentezza, ha buoni motivi per essere realmente contento. Il M5S di Conte ha perso una barca di consensi, ma grazie al de profundis suonato alla vigilia, può presentarsi come il salvatore del Movimento. L’unico a indossare il cilicio è Enrico Letta. Chi è causa del suo mal certo… Un’alleanza di centrosinistra, lo dice Nando Pagnoncelli, sarebbe stata competitiva. Le maglie larghe s’accompagnano nell’ultimo miglio, la pena capitale, scelta consapevolmente. 

Rotondi, intramontabile democristiano, al talk del Martedì su La7, fuori dai denti, ha urlato: “sono dei matti…”, all’indirizzo di Enrico Letta, avversario sì, ma di estrazione dc, e quindi meritevole di compassione.

I sondaggi del dopo-voto riferiscono una emigrazione di voti democratici ai 5 Stelle in misura notevole, e alla strana coppia Calenda-Renzi. Avesse dimesso l’atteggiamento del condottiero senza paura, donando seggi agli infidi compagni di viaggio, le cose sarebbero andate diversamente.

La legge elettorale, che ha premiato il centrodestra, esce dalla fervida mente di Rosato (per questo si chiama Rosatelllum), cioè dal Pd in versione Renzi. Hanno inventato un meccanismo che riduce all’osso il ruolo degli elettori: non possono scegliere in modo efficace né il partito né il candidato. 

Se non bastasse la legge tradimentosa, a tormentarci, ecco sondaggista Nando Pagnoncelli: il 48 per cento degli italiani, interrogati dopo il 25 settembre, sono persuasi che Giorgia Meloni non sia all’altezza del compito. E allora, quel 44 per cento che fa vincere il centrodestra, che significa? Pagnoncelli spiega: hanno partecipato al sondaggio anche gli astenuti, e coloro che hanno votato per i partiti alleati. Enigma risolto. 

Il leader dei Cinque Stelle, Conte, ha esternato la sua soddisfazione. Ci avevano dati per morti, ma siamo vivi e vegeti. Come un albero di nespolo, suggerisce Beppe Grillo, dalla sua postazione ligure, ormai marginale.

Conta di più la percezione di sconfitta, elusa, che i consensi usciti dalle urne. E’ la prospettiva che fa di Letta un perdente, non il risultato elettorale in sé. Conte incassa la percezione, mentre c’è chi, con tono canzonatorio, gli consiglia di sostituire l’acronimo, M5S, con Rdc (Reddito di cittadinanza), o Superbonus (edilizio), che suona meglio. 

Le Regionali siciliane hanno regalato al Cav grandi soddisfazioni. Per svariati motivi. Innanzi tutto, gli affetti familiari: Fascina, quasi moglie, e due antiche amiche Michela Brambilla e Stefania Craxi. Renato Schifani stravince, il goliardico De Luca superato la candidata Pd, Chinnici, della quale elettori e non, hanno cercato di sapere invano che cosa ci stesse a fare sui palchi comiziali una persona tanto estranea a rituali, liturgie, motivazioni della politica. E’ stato come mandare in alto mare, con una barca a vela, uno sherpa tibetano. 

In questo strambo contesto la Sicilia ha fatto un figurone. Ancora una volta imbrocca il numero vincente, il centrodestra, nella lotteria del voto, guadagnandosi la gratitudine del Cavaliere, tradito perfino dalle parti di Arcore. Gela, in Sicilia, brilla di luce propria grazie alla lungimiranza del sindaco, Lucio Greco, che si è intestato il successo di Michela Brambilla, di Stefania Craxi e, per quanto riguarda Sala D’Ercole, di Michele Mancuso, cittadino di Milena. 

Sventuratamente la popolazione di Gela produce più storia di quanta ne possa consumare localmente. Resterà comunque indelebile, sui libri, l’adozione politica di Michela Brambilla, amica degli animali, ovunque essi abbiano dimora. In una stagione densa di avvenimenti, il suo successo, promosso da Lucio Greco, appare come l’annuncio di un’alba radiosa.

Vive a Lecco, è vero, ma non è certo colpa sua: uno può evitare di entrare nella storia, ma non sempre riesce ad evitare la geografia. E se la mettiamo sul piano del merito, vale ripetere quanto ha sostenuto, giustamente stizzita, la segretaria della Brambilla, rispondendo ad un quesito velenosissimo del solito giornalista partigiano (Piazza Pulita, la7), che gli chiedeva come fosse riuscita a guadagnare un posto d’onore nella classifica dei parlamentari assenteisti (99,9 per cento): “Michela si è fatta il culo quanto una capanna, raccogliendo ovunque merda di cani randagi, invece che passare il suo tempo sugli scanni parlamentari cliccando voti d’aula”. Chi avrebbe fatto altrettanto?

Ognuno il sedere se lo tiene stretto fra le proprie ganasce, altro che farselo come una capanna. Abitare a Lecco, inoltre, ha questo di buono, che raramente si trasmette alla generazione seguente. Il premio verrà ai gelesi che hanno seguito le istruzioni di voto del sindaco. E’ possibile che gli eredi della Brambilla emigrino a Gela. Non ci sarà Lucio Greco ad aspettarli, à vero, e saranno i nostri nipoti a godere del beneficio, ma non si può avere tutto dalla vita. 

Ora serve valorizzare, piuttosto, il trionfo dell’ospitalità. Magari salutando, con appositi cartelloni stradali, chi arriva con un “Benvenuti a Gela, città dell’ospitalità”. Affidarsi alla gratitudine è segno di bontà d’animo e di longanimità politica. Ci vuole pazienza, però. E di pazienza Gela ne ha tanta, forse troppa.