Fratel Biagio e la bella lezione del Vangelo

Fratel Biagio e la bella lezione del Vangelo

Nonostante siano già trascorsi 13 anni, ricordo ancora con emozione quando nel 2009, fu conferito a fratel Biagio Conte (nella foto) il Premio “Don Franco Cavallo”, organizzato dalla Casa Francescana “S. Antonio di Padova”.

La cerimonia fu ospitata presso il Museo archeologico. Quel giorno erano presenti pure la giornalista de l'Osservatore Romano Silvia Guidi, anch'ella premiata, e poi il direttore del museo arch. Salvatore Gueli e i quadri dirigenziali del Kiwanis che patrocinava l'evento. 

Presenziò anche monsignor Michele Pennisi, che prima dell'inizio della premiazione, quasi incredulo mi domandò “Ma davvero verrà fratel Biagio?”. L'incertezza dell'allora vescovo di Piazza Armerina nasceva dalla consapevolezza che Palermo era lontana e che fratel Biagio non stava bene, difatti  il missionario laico, pur potendo camminare, per non sforzare le lunghe ma fragili gambe deambulava su un sedia a rotelle.

Ma fratel Biagio fu di parola. Accompagnato da un paio dei suoi collaboratori giunse al museo, si alzò dalla carrozzina per le foto di circostanza, e con grande generosità si offrì alle curiosità e le domande della stampa locale. La sorpresa di molti di noi fu quella che  egli disse di avere conosciuto don Franco Cavallo, e che con lui aveva subito stabilito un rapporto complice e fraterno. E come poteva essere diversamente? 

Premiammo fratel Biagio con una targa e con un assegno di 500 Euro per la  Missione “Speranza e carità”, da lui fondata nel 1993. Lui con quei suoi occhi azzurri e il suo sguardo da bambino ringraziò.  Si commosse e racconto di sé, della sua fanciullezza vissuta a Palermo dove era nato nel 1963 da una famiglia agiata. E poi degli anni sanguinosi e violenti delle guerre di Mafia, le stragi di Capaci e di via d' Amelio.

Fu in mezzo a quell'inferno che egli sentì la chiamata del Signore, e la sua specifica vocazione fu proprio quella di aiutare gli ultimi, gli indigenti, i barboni, che egli stesso aveva conosciuto dormendo all'addiaccio alla stazione di Palermo, proprio per sperimentare sulla propria pelle i morsi della fame e del rifiuto sociale.

Poi tutta la vita di fratel Biagio è stato un susseguirsi di eventi straordinari, compreso il miracolo che gli ridiede l'uso delle gambe dopo un viaggio a Lourdes. E quelle gambe lui non le risparmiò mai, così con una una croce in spalla macinava chilometri e chilometri per testimoniare in ogni dove quel Dio che lo aveva conquistato, attraverso la grande, irrazionale, ma bellissima utopia del Vangelo.

L'ultimo viaggio, prima della malattia (un tumore al colon) che lo avrebbe strappato alla vita lo scorso 12 gennaio, fratel Biagio lo intraprese facendo un viaggio a piedi da Palermo sino a Bruxelles per dire ai potenti che decidono i destini d'Europa di ricordarsi pure di chi nella vita non ha nulla.

Si è detto dell'esperienza vissuta insieme a fratel Biagio in occasione del Premio “Cavallo”, ma c'è da dire che il missionario laico  è stato legato a Gela anche grazie alla Piccola Casa della Divina Misericordia, che in un certo senso tenne a battesimo e alla quale fu sempre vicino, sposando la felice intuizione di don Lino di Dio che questo centro di “accoglienza per i poveri e gli ultimi” ha fondato.

E' stato scritto spesso che fratel Biagio  sia stato il san Francesco siciliano, e dal suo aspetto serafico, dal suo saio, il paragone non è certo azzardato.  D'altronde, egli conobbe la figura di Francesco, nel periodo in cui faceva l'eremita,  grazie ad un pastore che gli donò un cane e un libro di Hermann Hesse sulla vita del santo di Assisi. 

La successiva frequentazione dei frati di Corleone irrobustì questa sua fascinazione per san Francesco e per questo egli pensò che la sua missione, recuperata da un vecchio edificio, dovesse divenire il rifugio di tutti coloro che non hanno un tetto, una coperta, un pasto caldo.

Ma bene ha detto don Lino in occasione della messa in suffragio, presieduta e officiata da S.E. Mons. Gisana, lo scorso 15 gennaio a sant'Agostino a Gela, quando ha ricordato che Dio non usa lo stampo per fare i suoi santi, e che tutti i santi in realtà sono l'uno diverso dall'altro.

Così è stato anche per fratel Biagio, che già santo per Dio e per gli uomini, un giorno forse non lontano lo sarà anche per la Chiesa. Intanto, si potrebbe già pensare ad un primo miracolo, se si considera che appena 4 giorni dopo la sua morte, è stato assicurato alla legge l'introvabile, la primula rossa, il Capo dei capi, il corleonese  Matteo Messina Denaro, latitante da 30 anni.

Certamente un caso, ma fa riflettere il fatto che in un fazzoletto di terra – da Palermo a Corleone appunto – possano essere nati, praticamente coetanei (Denaro era nato soltanto un anno prima di Biagio Conte) un mostruoso criminale e un gigante di santità.