"Venire a Gela è già un cambiamento per noi, perchè la rivoluzione ha portato in Tunisia la libertà della parola". In questo modo ha esordito la docente tunisina Kmar Bendana (nella foto) penultima ospite della rassegna Cunta.15, organizzata dall'associazione culturale Daterreinmezzoalmare.

Insegnante di Storia contemporanea presso l'Università di Tunisi, la Bendana ha tenuto sabato scorso, presso il lido Tropicomed, una conferenza dal titolo "Capire le rivolte arabe: frammenti di una rivoluzione". E proprio sul significato del termine rivoluzione, e sui sogni traditi e ultime speranze in Tunisia a tre anni dalla primavera araba, si è incentrato il suo intervento in lingua francese, tradotto dall'interprete Alessandra Licata della scuola di lingue Cooco. 

 

«Il termine rivoluzione - ha detto la Bendana - è entrato nell'uso comune della Tunisia nel 2011, quando il popolo ha portato alla fuga del dittatore Ben Ali. Tutto nacque da un disagio economico e sociale, che determinò la fine della corruzione e del nepotismo. Protagonista di questa rivoluzione fu la classe media»

 

Ma la rivoluzione, partita dal Paese più moderato, subito si è espansa in Egitto, dove regnava il malcontento nei confronti di Mubarak, per aver accettato come successore il figlio, ma anche in Algeria, Libia, Marocco. In poco tempo, quella rivoluzione laica, che ricordava il '68 europeo, si diffusa nella costa. Ciò che si chiedeva era laicità, pluralismo politico e democrazia

«Si è trattata - ha detto la docente tunisina - di una rivoluzione popolare, causata da un tasso di disoccupazione alla stelle, che costringeva i laureati a lavoretti di ripiego. Il tutto è partito dal suicidio di Boauzizi, il disoccupato che si diede fuoco. Libertà e dignità, lotta per la democrazia, sono state le parole più importanti di questa rivoluzione»

 

Una rivoluzione del popolo, quella del mondo arabo, animata dalla rete, dove proliferavano gli appelli alla mobilitazione. Una rivoluzione che ha portato alla fine del regime, ma che non ha condotto al cambiamento sperato.

«La rivoluzione - ha commentato la Bendana - deve avvenire anche nella testa. La libertà di parola, e il poter parlare di politica, era il desiderio più grandi dei giovani tunisini, e devo dire che questo sia stato ottenuto. Tutti parlano di politica in ogni luogo, dalla vita pubblica a quella privata, ma manca il senso critico. I giovani, attivi durante la rivoluzione, continuano a essere esclusi dalla vita politica, e così laureati e disoccupati hanno costituito dei movimenti. Anche la situazione economica non è mutata. Il tasso di disoccupazione continua a essere molto alto».

 

Il Paese arabo più progressista ora si chiede a distanza di tre anni se ammettere il fallimento della rivolta o celebrare i progressi ottenuti. "Rien a changè", niente è cambiato ripete la storica, che mette in evidenza come il vero cambiamento doveva essere nella mente. 

«L'unico cambiamento - ha sottolineato la Bendana - è stata l'emancipazione femminile. Donne che lavorano e guadagno, che hanno combattuto accanto agli uomini. e che continuano a lottare per i loro diritti. La disoccupazione maschile - continua la Bendana - ha portato dai 3 mila ai 5 mila giovani ad arruolarsi all'Isis. Inoltre il fenomeno migratorio è notevolmente in aumento».

 

La transizione democratica della Tunisia si sta rivelando molto complicata. Non bastava twittare parole come libertà e uguaglianza, per aprire le porte della democrazia occidentale alla Tunisia. Le libere elezioni non sono bastate. Una democrazia è tanto più solida quanto migliore è la congiuntura economica 

 

«La rivoluzione dei gelsomini - ha riferito la relatrice- era scoppiata nel pieno della crisi mondiale che ha rallentato le economie europee e l’Europa per la Tunisia rappresenta esportazione e rimesse. La rivoluzione giusta nel momento sbagliato. Inoltre si necessita di una separazione tra religione e politica, e su questo ancora manca una legge.».

 

Una rivoluzione che comunque i nostri giovani dovrebbero prendere d'esempio

«Da noi i giovani hanno combattuto - ha detto la docente - per ottenere la democrazia. Qui si dovrebbe lottare contro una democrazia molto antica»

Alla conferenza ha assistito un folto pubblico. Tanti gli interventi. 

 

«Mi sono sentita - ha commentato la relatrice - subito a casa mia. C'è molta somiglianza tra il popolo arabo e i siciliani, stesso carattere, stessi lineamenti e colori, cambia solo la lingua e la religione, anche se la Sicilia un tempo è stata musulmana»