Le barbarie dell’Isis

Abbiamo imparato dalla Storia che gli Stati Uniti intervengono nelle varie crisi internazionali quando sono lesi i propri interessi, economici, strategici, commerciali, politici.

Solo allora divengono “paladini di democrazia”. Ci sono poi le guerre di autodifesa o preventive che dir si voglia. 

Sappiamo bene che da quell’infausto alle Torri Gemelle il mondo è cambiato, ed è iniziata contro il terrorismo internazionale di stampo islamista una guerra i cui esiti sono ancora incerti, dato che ad oggi questa piaga non è stata ancora debellata. Anzi, con l’inarrestabile avanzata dell’Isis, viene naturale porsi alcune domande. Come mai ad esempio gli Stati Uniti non hanno approntato contro questa minaccia, sempre più globale, le giuste contromisure, limitandosi a dei raid aerei che dal punto di vista militare non potranno mai fermare i jidaisti.

 

La risposta è semplice. L’America, almeno al momento, non vede minacciati i suoi interessi vitali, da qui l’azione blanda e anche un po’ “attendista” contro lo Stato islamico. Sorprende però come neppure gli Europei, pur avendo già subito nelle proprie città (vedi Madrid, Londra, Parigi) attentati terroristici sanguinosissimi, ad oggi non abbiano preso seriamente coscienza della minaccia.

 

E se l’Italia, miracolosamente sino ad ora non ha dovuto piangere delle vittime, comunque le farneticanti dichiarazioni dell’Isis, “prenderemo Roma”, una certa angoscia la trasmettono, sebbene poi gli italiani al momento siano più preoccupati dalla valanga di immigrati che quotidianamente raggiungono le coste meridionali del Paese, e naturalmente dalle tasse che strozzano le famiglie. Rimane l’interrogativo del perché oggi le democrazie occidentali consentano all’Isis di consumare i raccapriccianti delitti di cui leggiamo la cronaca ogni giorno.

 

I massacri, le torture, gli stupri di migliaia di persone sembrano non interessare nessuno. E non si capisce neppure che l’epocale esodo in corso è una delle dirette conseguenze dell’inefficace azione politica, diplomatica e militare del vecchio continente. C’è poi questa sistematica distruzione dei siti archeologici, patrimonio dell’umanità, che lasciano sgomenti, e che io personalmente – con tutto il profondo rispetto che i 3.000 morti delle Twins meritano – trovo di gran lunga più grave dell’attentato dell’11 settembre. Penso ancora, che nella morte per decapitazione di Khaled al Asaad (nella foto), uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del sito archeologico di Palmira, possiamo leggere la sintesi di cosa dovrebbe essere l’Europa e di cosa invece non è. Khaled al Assad, che per il suo eroismo e i suoi pacifici ideali meriterebbe un premio Nobel alla memoria, è stato giustiziato perché credeva ancora nei valori della bellezza, dello studio, della ricerca, che sono poi alla base della nostra storia e della nostra civiltà.

 

Tutte cose in cui invece l’ Europa dei burocrati, dei banchieri e dei vecchi tromboni – un’Europa anche un po' filo-mussulmana e certo sempre meno cristiana - non crede più. Così, fra l’indifferenza dell’Occidente e qualche sdegnata frase di circostanza di qualche nostro ministro, rimane lo status quo e continuano le devastazioni di templi, monasteri, siti archeologici, con lo spianamento di  intere città che sino ad ieri sono state testimonianze e “pietre vive” di quella grande civiltà assiro-babilonese che fu all’origine del mondo.

 

Quando l’Isis avrà posto termine alla sua infinita barbarie non rimarrà nulla di quel patrimonio, se non qualche fotografia sui libri di storia. E quella sarà una macchia indelebile sulla coscienza dell’Occidente, forse ancor più sulla coscienza degli Europei che degli Americani, visto che quest’ultimi i templi e i palazzi in fondo li hanno sempre saputi ricostruire in “cartapesta” nei loro kolossal cinematografici, o nelle ville dei grandi magnati. Ma i templi, i colonnati, le aree sacre, che hanno sfidato i secoli e che ora sono stati ridotti in polvere da un’orda di fanatici vigliacchi,  nessuno potrà più restituirceli, ed anche i nostri figli e i nostri nipoti ne saranno orfani.