In un articolo pubblicato sul Corriere di Gela nell’aprile del 2008 scrivevo: «Non vi è dubbio che da qualunque parte la si veda, la vicenda giudiziaria ed umana di Bruno Contrada ( in una foto recente) risulta essere inquietante e poco chiara.

L'ex numero 3 del Sisde, condannato a 10 anni di carcere per collusione con la mafia, da tempo gravemente malato ed affetto da varie patologie, non compatibili con lo stato carcerario, nei giorni scorsi è stato colpito da una nuova ischemia cerebrale e ricoverato in ospedale.

 

La sorella reclama per lui l'eutanasia per sottrarlo alla forca di una giustizia che vuole ucciderlo. E in effetti, è proprio questo accanimento che i giudici hanno dimostrato contro un uomo anziano e inconfutabilmente malato, a suscitare inquietudini ed interrogativi».

 

Adesso a oltre 7 anni da quei fatti la Corte Europea di Strasburgo respinge la condanna a dieci anni, scontata da Contrada prima in un carcere militare e poi agli arresti domiciliari, perché fra il 1979 e il 1988 in Italia il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era contemplato da nessuna legge dello Stato. La stessa Corte, citando l'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, ha condannato l'Italia ad un risarcimento di diecimila euro, ritenendo che nessuna sentenza possa essere emessa su reati indefiniti, non riconosciuti dai codici.

 

Oggi dunque Contrada, all’età di 84 anni, ottiene dalla Corte di Strasburgo alla quale si era appellato nel 2008 quella giustizia che l’Italia non gli aveva riconosciuto, nonostante egli avesse chiesto successivamente, nel 2012, la revisione del processo. E comunque l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo, diventato poi direttore generale alla Criminalpol ed infine numero tre del Sisde, pur soddisfatto dal “provvedimento” preso dai giudici di Strasburgo, da fedele servitore dello Stato – quale si è sempre dichiarato – ha manifestato anche la sua afflizione, consapevole che la sua tarda età e le cattive condizioni di salute non gli consentiranno mai di avere “da vivo” il pieno riconoscimento della sua innocenza, e quindi della totale estraneità ai fatti a lui imputati.

 

Né d’altronde la modesta somma di 10.000 Euro, a risarcimento di 23 anni di laceranti procedimenti giudiziari, potrebbero mai neppure in minima parte compensare il danno morale subito. “Certo – come concludevo nel mio lontano precedente articolo - nella vicenda giudiziaria di Contrada, rimane ancora da chiedersi perché un ex presidente della repubblica come Francesco Cossiga e decine e decine di poliziotti abbiano deposto a suo favore...inascoltati, mentre si è sempre dato credito alle accuse dei pentiti.”

 

D’altronde, al di là del “caso Contrada”, sul quale prudentemente rimane ancora sospeso il giudizio, è di questi giorni la notizia che negli ultimi decenni in Italia ci sono stati ben 25.000 casi di persone accusate di delitti o altri crimini, poi riconosciute innocenti anche dopo lunghi anni di detenzione. Questo a riprova - come insegna anche il tristissimo “caso Tortora” - che nel nostro Paese, nonostante l’impegno delle Forze dell’Ordine e il duro lavoro di tanti magistrati, sussiste nella Giustizia un grave “deficit”, e molto ancora c’è da fare per superarlo.