Cari gelesi, la laurea non è la vita

Laureato. Dottore, con il massimo dei voti. Il momento magico è finalmente giunto, tra tappeti stesi, corone d’alloro e suono di campane.

Un prestigio culturale da esibire, ostentare, dimostrare. Una laurea, per sentirsi grande tra i grandi e migliore tra i migliori. Medico, infermiere, farmacista, avvocato, erborista, psicologo, ingegnere…quanti titoli, quanta bravura attorno a noi, in questa Gela che si divide tra applausi, cene di lusso e bomboniere con i veli rossi. Poi, dopo tanti festeggiamenti, mentre cammino sul lato destro di una strada di quartiere, incontro un ragazzo. Lo conosco, ha 25 anni, ed è un ottimo muratore. Possiede soltanto la licenza media. Per un attimo, dopo aver incrociato il suo sguardo, mi sono soffermato su quel “soltanto”. Già, perché viviamo nell’era del verbo “avere”. Io ho avuto, io ho, io avrò. Nient’altro. E’ il tempo delle pergamene colorate e di valore, che contano e producono un peso notevole. Il gelese gareggia, si reca a Bologna, Roma o Milano per studiare e magari accontentare le aspirazioni di genitori, amici e altri parenti. Quelle degli altri, non le proprie.

 

Logico, deve fare la differenza. Esame su esame, prova su prova, per arrivare ad un documento da fotocopiare fino all’ossessione. Gioia? No, tristezza. Come vorrei spiegare a questi miei fratelli le amare difficoltà della vita! Dietro quel pezzo di carta, in realtà, non c’è l’esistenza. Sì, serve, è un merito, d’accordo. Ma non è tutto. E poi, cosa vogliamo raccontare ai nostri diplomati? Sono forse cittadini di serie B? No, cari amici gelesi, non ci sono i perfetti e gli imperfetti. Esistono le persone, con il loro carico di dolori, sofferenze, ingiustizie e sfortune. Esistiamo noi, con il nostro “tanto” dentro il niente. Non basta attaccare un attestato ad una parete per essere qualcuno. Studi, sacrifici, lotte, tasse pagate…va bene, anche lì c’è una storia da rispettare e apprezzare. Ma non è il mondo. La laurea è un traguardo, il tassello di un mosaico ben costruito, ma spesso circondato di superbia ed arroganza che, nella maggior parte dei casi, denotano una personalità approssimativa e poco intelligente. Poi, in fondo alla lista, ci sono i buoni professionisti. Li vedi nella loro totale umiltà, intenti a pulire scale o a lavare piatti. Non provano vergogna, non hanno paura di sporcarsi, nonostante il brillante curriculum.

 

E discutono senza problemi con chiunque, affrontando apertamente le sfide del futuro. Allora, è giusto proseguire gli studi, non c’è dubbio, ma con lo scopo di evitare inutili gare di superiorità e con la chiara consapevolezza di trovare risposte concrete all’interno di un mercato del lavoro aperto a tutti e che possa comprendere pure  i  non-dottori e i non-diplomati.