Nei giorni che hanno fatto seguito all’orrenda strage di Parigi, rivendicata trionfalmente dall’Isis, molti hanno scritto “Oriana Fallaci aveva ragione”.

Mi sento di condividere questo pensiero essendo stato uno dei primi a sposarlo, mentre molti solo adesso cominciano a prendere sul serio le “profezie” della giornalista-scrittrice scomparsa. La conquista dell’Occidente da parte dei “cattivi” ma anche dei “buoni” mussulmani continua, con mezzi e strategie diverse, ma prosegue inesorabile. Siamo già in quella “Euroarabia” di cui parlava la Fallaci, e la crisi del vecchio continente, politica, militare e culturale somiglia tanto a quel periodo oscuro che determinò il crollo dell’Impero Romano, causato principalmente dalla caduta dei valori che fecero grande la Città dei Cesari e da quella mollezza dei costumi, che appunto oggi ci richiama molto alla nostra contemporaneità.

La profanazione di Parigi, con i morti al Bataclan, l’attacco allo stadio e in altre zone della capitale francese, hanno una volta di più dimostrato la nostra fragilità di fronte ai nuovi barbari, che per malvagità sembrano superare anche le nefandezze perpetuate dai nazisti. Hitler, nel ’44 aveva ordinato la distruzione di Parigi. Il generale Dietrich von Cholitz, disobbedendo agli ordini del Furher,la salvò. La città non si è salvata invece dallo spietato, lucido e devastante attacco dei terroristi, che se solo avessero la possibilità, in nome di Allah utilizzerebbero anche l’arma atomica pur di cancellare l’Occidente, mentre noi continuiamo a…porgere l’altra guancia.

Rimane non comprensibile il motivo per cui gli Stati Uniti e l’Europa, che tante risorse investirono e tante vite umane sacrificarono per liberare l’Iraq dall’ormai innocuo Saddam, non siano invece intervenuti drasticamente contro lo Stato Islamico.Certo, nel mantenimento dei conflitti non mancano gli interessi da parte delle multinazionali e dei venditori di armi. E sarebbe stupido non ammettere le tante scelte sbagliate e le gravi responsabilità dell’Occidente nell’escalation di molte guerre. Ma la politica deve azzerare queste lobby e gli occulti poteri forti. Basta connivenze con chi gioca con le sorti del mondo per i propri sporchi interessi. In quanto all’attacco che l’ISIS sta portando all’umanità, senza differenze di razza, di classe o di religione, esso ci pone l’obbligo di reagire subito. Ormai non c’è più tempo per discutere, dibattere, filosofeggiare. Il nemico sappiamo chi è. Vero, si cela subdolamente nelle nostre città, e a volte persino dentro le nostre case. Ma lo abbiamo identificato da tempo. Ora bisogna combatterlo.

 

E la reazione deve essere efficace, poderosa, adeguata alla gravità della minaccia. Ma da dove deve venire questa risposta? La leadership statunitense sembra debole con un Obama che ha ridato slancio e fortuna all’economia americana, ma che ha fallito nella politica estera. Sarebbe però un errore lasciare l’iniziativa a Putin, che oggi paradossalmente si propone come l’unico “paladino” in grado di combattere seriamente lo Stato Islamico. Quello che serve invece è una coalizione internazionale capace di coinvolgere le grandi potenze, incluse la Federazione russa, la Cina, l’ India e l’ Iran, ma anche altri stati arabi, se non altro per comprendere veramente…da che parte stanno. Una cosa è certa però, per quanto la guerra sia ripugnante, bisogna combattere con la stessa determinazione, lo stesso coraggio, lo stesso spirito di sacrificio che i nostri nonni mostrarono di avere nella lotta contro l’invasore nazista. E stavolta la risposta militare deve essere risolutiva. Ne va del futuro dei nostri figli, dei nostri nipoti, delle nuove generazioni che oltretutto andrebbero rieducate nel recupero di quei valori che fecero dell’Europa la culla del pensiero e della civiltà. Poi, estirpata alla radice la  “malapianta”, sarà opportuno che i governi delle nazioni pensino seriamente a ricostituire un nuovo ordine mondiale, dove finalmente ogni Stato, ogni popolo, ogni cultura, ogni fede, possano convivere pacificamente aprendo nuovi orizzonti a questa umanità dolente, che corre verso il baratro e l’autodistruzione senza rendersene conto. E’ un’utopia? Probabilmente sì. Duemila anni di storia sembrano non avere insegnato nulla all’uomo. Ma non abbiamo scelta. Dobbiamo sperare ancora. O le nazioni provano una volta per tutte a mettere da parte i propri egoistici interessi per il bene della “casa comune”, o saremo destinati tutti all’estinzione, e in un tempo neppure tanto lontano.