Sebbene i suicidi di queste ultime settimane pare non siano da addebitare, almeno non tutti, a problemi economici, ma forse più a fatti depressivi o sentimentali, la tragica sequenza di morti “volute” che recentemente ha colpito la nostra città, è il segno più allarmante del malessere che vive Gela ma anche la Sicilia tutta; la misura di una crisi devastante che sembra non finire mai nonostante le patetiche note di ottimismo che arrivano dal governo centrale, ma anche da Palermo.

D’altronde, per chi ha la pancia piena, gode di stipendi consistenti e di pensioni d’oro, la sofferenza della gente è soltanto un “piccolo fastidio” con il quale bisogna convivere. Anzi, si sa, i tempi bui sono sempre un toccasana per i ricchi che possono sempre diventare più ricchi. Rimane la morte pietosa di lavoratori, pensionati, piccoli imprenditori, ragazzi, che non hanno resistito alla perdita di un lavoro, alla pressione dei debiti, allo spettro della povertà, e hanno preferito dire basta piuttosto che continuare a vedere calpestata la propria “dignità”. Ma se la morte è liberatoria per chi decide di darsela, rimane, dopo ogni suicidio, un atto di accusa grave contro la società e contro un sistema che ha fallito. L’Italia repubblicana fondata sulla libertà e il lavoro, è oggi un paese da cui tutti vorrebbero fuggire. Le politiche sbagliate, la strangolante burocrazia, la corruzione, hanno stretto un cappio al collo degli italiani, e sono i cittadini più onesti che alla fine pagano.

Sappiamo bene infatti che mafiosi, evasori fiscali e politici corrotti non commetteranno mai gesti estremi.  Eppure, in mezzo a tanto sfacelo economico e degrado morale, è ammirevole vedere come molta gente rimane salda nelle proprie posizioni e continua a lottare per un futuro migliore. Queste persone belle e coraggiose spesso non le conosciamo neppure. Operano e lavorano nell’anonimato, nel silenzio, ogni giorno si sacrificano e hanno deciso di rimanere nella loro terra, nelle loro città, nel paesello dei propri avi. Questi sono i piccoli e grandi eroi del quotidiano, o forse gli ultimi “poveri illusi”, che meriterebbero non medaglie o pacche sulle spalle, ma maggiore rispetto, maggiori opportunità, e soprattutto una classe dirigente onesta. I recenti episodi accaduti a Napoli e Catania dove la gente ha difeso dei malviventi rivoltandosi contro le Forze dell’Ordine è emblematico del fatto che la gente del Sud, affamata e dileggiata, spesso è sedotta dalle mafie che garantiscono “pane maledetto e insanguinato” ma che comunque riempie lo stomaco.

A tale proposito mi sovvengono le parole di un missionario gesuita che diceva: “ Prima di fare conoscere Gesù e il Vangelo dobbiamo portare da mangiare ai popoli del Terzo Mondo, sfamarli, altrimenti la nostra missione fallirà”. E questo vale pure per i nostri concittadini e connazionali che rivendicano un lavoro per dare mangiare ai propri figli. Ma se ciò non avviene si comprende allora perché in larghe fasce del Meridione si stia sviluppando una pericolosa cultura contro le istituzioni dello Stato molto pericolosa, che non può essere accettata in una nazione civile e moderna, ma che esprime interamente il malessere di un popolo. Un popolo che, guarda caso, si identifica storicamente e geograficamente con il vecchio Regno delle Due Sicilie, e nel cui vocabolario non esiste quasi più la parola speranza, visto che dall’Unità d’Italia ad oggi – con la Monarchia prima, il Fascismo dopo, e la Repubblica adesso -  per la nostra gente davvero poco è cambiato.