Non sono in tanti a ricordare un episodio insolito che vide l’allora capitano dei Carabinieri Mario Mettifogo (nella foto, oggi colonnello, comandante del Gruppo provinciale ad Agrigento). Comandava la Compagnia di Gela (oggi elevata a Reparto territoriale) e si era in guerra tra forze dell’ordine e bande mafiose, con queste ultime a far da padrone, implacabili e pronte a spargere sangue sulle strade cittadine, con omicidi anche plurimi, un giorno si e l’altro pure.

Erano tempi – quelli a cavallo degli anni ’80-90’ – che per fortuna e grazie al lavoro svolto da magistrati e forze dell’ordine ci siamo lasciati alle spalle.

Cosa Nostra contro Stidda, cellula mafiosa con radicamenti autoctoni.

Ad un certo punto, con l’esasperarsi della situazione e constatato che probabilmente le forze dell’ordine conducevano una battaglia persa anche perché combattuta ad armi impari, l’allora capitano Mettifogo chiese all’allora capo della Procura del neonato Tribunale (inaugurato nel 1991dal capo dello Stato Cossiga nei locali provvisori di viale Mediterraneo), dott. Angelo Ventura, l’autorizzazione ad effettuare intercettazioni ambientali nell’abitazione di un boss. Il capo della procura negò l’autorizzazione. Mettifogo reagì e informò il Consiglio Superiore della Magistratura, al quale si rivolse chiedendo l’incompatibilità ambientale del procuratore Ventura, gelese di nascita e di formazione.

Il Csm prese in esame la richiesta dell’ufficiale dell’Arma. Presiedette la seduta dell’organo di autogoverno della magistratura il vice-presidente, il paternese Giovanni Galloni, già ministro dell’Istruzione, che sostituiva in Consiglio il capo dello Stato Cossiga, presidente di diritto del Csm. La votazione risultò pari, ma siccome il voto di chi presiede vale doppio, la richiesta di Mettifogo di trasferire Ventura in altra sede per “incompatibilità ambientale” non passò per il voto negativo di Galloni.