La comunicazione politica diventa sempre più mediatizzata.
I cittadini restano sempre più emarginati, tenuti fuori dall’arena pubblica. Non c’è da meravigliarsi se poi il cittadino-elettore si prende la rivincita disertando le urne. Magari sbagliando.
Nei giorni scorsi, in tv e nel web è stato evidenziato come nessun partito, nessun candidato, abbiano trovato conveniente sfidare la piazza, preferendo incontrare amici fidati, potenziali ma “non sicuri” elettori, nei teatri e nell’intimità delle cene pre elettorali. Grandi folle, in certi casi (Arancio ha fatto il pienone all’Antidoto di Macchitella), come prove di forza verso gli avversari.
Nella generalità dei casi, la folla viene considerata sinonimo di consenso. Ma non sempre è così. Certo, gli applausi e le strette di mano danno coraggio e ti fanno sentire meno solo, ma sono davvero gesti di consenso reale?
Qualcuno ha detto che la diserzione dei candidati e dei partiti dalla piazza è figlia di quella selva di fischi che sommerse Crocetta due anni fa, fischi che alcuni giudicarono di disturbo, ma che in realtà erano in prevalenza di palese dissenso.
Ora, andare ad analizzare il fenomeno per trovarne le vere ragioni, è tempo sprecato. C’è da prendere atto che sono cambiati i tempi, forse troppo in fretta, e che la scelta fatta, seppure dettata da una comunicazione politica sempre più mediatizzata, è quella che porta i cittadini a disinteressarsi sempre più dei candidati, indipendentemente dalla loro storia.
Al momento in cui andiamo in stampa, nessuno ancora, in questa tornata elettorale, ha trovato il coraggio di sfidare la piazza. Se tutti faranno così fino al voto, tutti avranno perso qualcosa: il candidato l’occasione per confrontarsi faccia a faccia, per paura di un feed-back negativo; il cittadino non potrà avere quelle informazioni sul programma politico dei singoli e dei partiti, elemento indispensabile per una valutazione libera e scevra da condizionamenti esterni, che nulla dovrebbero avere a che fare con la politica.
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