Pino Federico (Forza Italia): Tutti un passo indietro! «Se andiamo divisi, sarà suicidio»

Pino Federico (Forza Italia): Tutti un passo indietro! «Se andiamo divisi, sarà suicidio»

Dopo la brevissima esperienza della sindacatura di Giovanni Scaglione nel 2002, il centrodestra gelese non è più riuscito a presentarsi unito e compatto innanzi all'elettore gelese in occasione delle amministrative, consentendo ripetutamente la vittoria al centrosinistra, prima con Crocetta, poi con Fasulo, fino ad arrivare alla colossale frantumazione nelle comunali del 2015 che consegnò, di fatto, la città a Messinese ed al Movimento 5 Stelle.

Ne abbiamo parlato con un protagonista del centrodestra di questi anni, già due volte deputato regionale e presidente della provincia, nonché calamita elettorale come dimostrato alle scorse regionali e politiche, il dott. Pino Federico (nella foto):

«innanzitutto – ci ricorda – dopo Scaglione, il centrodestra è stato unito un'altra volta ed in occasione della mia candidatura alla provincia. Guarda un po’, in quell'occasione abbiamo stravinto e governato senza terremoti per 4 anni. E' vero che la provincia non è un comune ma sempre di ente locale territoriale, benché intermedio, si tratta e le regole elettorali che la riguardano, non a caso, coincidono con quelle dei comuni sopra i 15 mila abitanti. Altro è stato il discorso ed altri sono stati gli esiti quando sono prevalse le divisioni, figlie senza girarci troppo attorno, dei personalismi e della cura del proprio orticello, che hanno lasciato campo libero più volte al centrosinistra e recentemente ai grillini».

La situazione, però, sembra ripetersi ancora, col rischio di andare a sbattere anche in questa tornata elettorale amministrativa:«è chiaro – ammette Federico – che in assenza di regole non si va da nessuna parte. Quando non ci sono basi politiche per una convergenza, ma invece ti alzi il mattino e decidi che sei candidato a sindaco, non c'è più spazio per ragionamenti politici, non c'è più spazio per la politica. Ma non tutto è casuale: infatti, vorrei capire perché a Caltanissetta si fanno riunioni e si converge verso una candidatura ed a Gela si fanno partire più candidature, al fine di bruciarle, creando divisione. Con più candidature la competizione inevitabilmente si piega al ribasso, con la conseguenza nella migliore delle ipotesi di un candidato debole di un centrodestra ridimensionato».


In pratica, un gioco a perdere. Un gioco, una partita, che punta esclusivamente a non concedere a questa città di avere un sindaco di centrodestra forte: «ma lei pensa – asserisce il già presidente della ex provincia nissena – che l'attacco concentrico a cui è stato sottoposto alle regionali il candidato gelese di centrodestra uscente sia stato un fatto meramente casuale? Non è stato casuale ed è stato fatto per indebolire il territorio».


Il riferimento al deputato regionale Mancuso e qualche altro potentato nisseno è palese. Del resto, viene specificato subito dopo: «Non è condivisibile – afferma il due volte deputato all'Ars – che il coordinatore provinciale forzista faccia una riunione a settimana a Caltanissetta per piazzare un suo fedelissimo, mentre a Gela non ne convoca manco una, lascia fiorire le candidature che creano divisioni e questa classe politica locale di centrodestra cosa fa? Ci casca puntualmente».

Insomma, quale sarebbe allora la ricetta? «Non c'è una ricetta che valga per tutte. Le soluzioni possono essere diverse. Ad esempio, ci si potrebbe incontrare e stabilire le primarie in una settimana, con la garanzia però che chi perde, presenti comunque una lista a sostegno del candidato vincente. Questa potrebbe essere una soluzione, ma ce ne sono tante altre, purché alla base – ed è questo il vero punto che voglio rimarcare - ci siano regole e ragionamenti politici. Allo stato dell'arte, al contrario, non ne riscontro. Chiederci di sostenere Tizio perché siamo buoni nel mobilitare l'elettore e portare voti, ma non altrettanto buoni per assumere altri ruoli, non è un ragionamento politico, ma un qualcosa di inaccettabile. Un modo di fare politica quantomeno svilente e demotivante. Perché non fanno tutti un passo indietro? Io l'ho già fatto ancora prima di sedermi a qualunque tavolo e provare a delineare il profilo di una candidatura, con precise caratteristiche, che possa unire».


E quali sarebbero queste caratteristiche? «Ovviamente una persona onesta e perbene. Poi un buon amministratore. Di tutti questi candidati di cui si parla, a parte Melfa solo per tre mesi, non c'è nessuno che abbia fatto almeno l'assessore comunale. Non possiamo presentare gente che improvvisa e che dovrà impiegare 5 anni di mandato solo per capire come funziona la macchina amministrativa locale e quella degli enti superiori. Infine, dev'essere un candidato che parte da una base di consenso politico ovvero che goda di una certa credibilità, la quale va oltre i numeri. La lezione dell'Abruzzo è quella di un centrodestra unito e compatto attorno una candidatura credibile, a prescindere se poi proveniente dal partito, fra i tre maggiori, con minor appeal elettorale. La logica non può essere quella, invece, di massacrare le candidature e le persone».

Da tutti questi discorsi sembra che il centrodestra non abbia, invero, avversari se non in se stesso. «I grillini – sottolinea Federico – rimangono temibili, perché sono comunque al governo della nazione e quindi possono, nell'effetto trascinamento della loro azione di governo, continuare a suscitare interesse anche a livello locale come a Gela, dove però provengono da una vicenda controversa e quindi molto dipende anche dal candidato che sapranno esprimere. Il centro-sinistra, per quanto in difficoltà, ha sempre dimostrato di essere capace di organizzarsi, ma il punto è che siamo noi del centrodestra a decidere le sorti di queste elezioni a Gela, nel bene o nel male. Il centrodestra gelese ha una grande responsabilità verso gli elettori gelesi. Sia alle regionali che alle politiche, l'elettore gelese ci ha premiati.

La mia disponibilità a candidarmi avviene nel solco di questo percorso. Era anche un modo per ringraziare una città da cui tanto, in quanto a consenso, ho avuto fino a ieri. A 54 anni, candidarmi a sindaco significava assumermi un impegno gravoso che mi avrebbe fatto di nuovo distogliere dal mio lavoro medico. Gela è la mia città e vive una fase drammatica. Non ci si può candidare solo per il gusto della fascia o della poltrona. Oggi fare il sindaco a Gela rappresenta nettamente e di gran lunga più oneri che onori. Dando la mia disponibilità pensavo di unire. Non è stato così, bene, ne prendo atto. Evidentemente non sono gradito a chi non può prendermi per la giacca».


Quindi? «Per quanto mi riguarda – conclude – non rimane che sedersi attorno un tavolo ed azzerare ogni discorso fatto fino ad oggi. Facendo tutti un passo indietro, si stabiliscono i criteri di base per ragionare politicamente ai fini dell'investitura di un candidato credibile e che muova consensi. Non bisogna confondersi più di tanto. Dalla mia esperienza, posso sottoscrivere che, unito e coeso, il centrodestra supera abbondantemente il 40% e vince anche al primo turno, con tanto di premio di maggioranza. Ciò equivale minimo a 14 consiglieri e, pertanto, c'è spazio politicamente per tutti. Purtroppo la logica, seguita fino ad oggi è stata quella di un suicidio politico, davanti al quale non posso sottacere».