Storia di ordinaria malasanità in tempo di coronavirus

Storia di ordinaria malasanità in tempo di coronavirus

Un giovane metalmeccanico gelese, dopo mesi di lavoro, torna dal Nord in Sicilia per le festività di Natale e scende all'aeroporto Fontanarossa di Catania dove, ad attendere i passeggeri, ci sono gli operatori sanitari che devono far rispettare l'ordinanza n. 64/20 del governatore, Nello Musumeci, quale misura di prevenzione del contagio da Corona virus. Il provvedimento impone l'obbligo del controllo con rilevamento della temperatura corporea e tampone rapido a tutte le persone in arrivo. 

Ma non è così. Il sistema presenta molti punti deboli. Tanti che non hanno febbre vanno via in fretta e qualcuno potrebbe essere asintomatico positivo. Il nostro operaio ha 37,5 e perciò accetta responsabilmente di sottoporsi al controllo con tampone rapido. L'esito arriva dopo una quarantina di minuti. Purtroppo il risultato lo dà positivo al Covid 19 e gli è fatto obbligo di rientrare a Gela da solo, con un mezzo proprio, per porsi in auto-isolamento per 10 giorni in un'abitazione rientrante nella sua disponibilità, dove una equipe dell'Usca ("unità speciali di continuità assistenziale") lo raggiungerà per sottoporlo a ulteriori più approfonditi controlli tramite tampone molecolare.

Al metalmeccanico gelese sembra crollare il mondo addosso. I parenti partono da Gela con due auto per consegnargliene una tutta per lui. Alla moglie suggerisce di prendere i loro due bambini, abiti, biancheria, libri, quaderni e quant'altro e di trasferirsi in casa dei nonni materni o paterni per evitare ogni rischio di contagio. Il medico di famiglia, informato prontamente, gli consiglia l'uso di tachipirina perchè la febbre, che si manifesta e aumenta nel pomeriggio, non lo lascia. Va perdendo man mano il gusto e l'olfatto. Arriva anche la spossatezza ma il personale Asp per il tampone di verifica non si vede. Sono passati sette giorni e nessuno si fa vivo. Di contro sopraggiungono tosse e depressione. La moglie, angosciata, avverte il medico di famiglia che informa l'Usca. La dottoressa della struttura, impegnata con altri casi, chiama al telefono il paziente e gli chiede di descrivere le proprie condizioni di salute. 

L'operaio riferisce pure che lo scorso inverno per combattere la febbre influenzale ha fatto uso con successo di Rocefin antibiotico in fiale. La dottoressa, forse dimenticando di parlare con un positivo da Covid, gli suggerisce: "allora faccia lo stesso anche quest'anno, chiami un suo parente che sappia fare le punture e se ne faccia fare una al giorno per almeno tre giorni, poi vedremo...". E quando l'operaio, incredulo, le fa notare che il rischio di contagio sarebbe altissimo, lei replica seraficamente dicendo: "Eh ... ma noi non facciamo terapie domiciliari ...".

Poi, liberatasi da impegni, ci ripensa e si reca personalmente in casa dell'ammalato. Così la soluzione diventa il ricorso ai farmaci in compresse: antibiotico e cortisone. E qui si scopre che il medico di famiglia non aveva prescritto ancora alcuna terapia. Solo Tachipirina per abbassare la febbre. Si scopre pure il motivo per cui il tampone molecolare di verifica non era stato effettuato: nella speciale lista del servizio sanitario della Regione l'operaio non risultava iscritto tra i positivi al Covid 19. La squadra del tampone rapido all'aeroporto di Catania non lo aveva segnalato ancora. Si opta per l'autodenuncia tramite il medico di famiglia e finalmente il 29 dicembre arriva il tampone molecolare che conferma per la seconda volta la positività del paziente al Coronavirus. 

Qualcuno dei parenti cerca i vertici zonali dell'organizzazione sanitaria anti Covid segnalando l'esistenza di una situazione paradossale per le troppe falle nel sistema di lotta al virus in Sicilia. Ma per tutta risposta si sente replicare che "la vita è come un'equazione di matematica, per ottenere il massimo devi saper convertire il negativo in positivo". Pensiero filosofico apprezzabile ma di efficacia zero. Nessun interesse per i dettagli sui disservizi, le omissioni, i disguidi, le sofferenze. La disponibilità all'ascolto avrebbe potuto risolvere un problema e impedire che avvenimenti del genere potessero ripetersi in futuro.

Per fortuna altri medici di buon senso della stessa Usca, più sensibili e più pratici hanno preso le iniziative giuste e assicurando personalmente una terapia con antibiotici e cortisone in fiale hanno curato meglio e con maggiore rapidità il paziente che non ha avuto più febbre. Ora si attende l'esito dell'ultimo tampone. Se sarà negativo potrà tornare libero dai suoi cari, nel rispetto delle norme di distanziamento. Ma quanta fatica e quanta sofferenza!

Burocrazia, cattiva organizzazione e indolenza di certi anelli della catena, rendono tutto più difficile per pazienti e famiglie che si sentono abbandonati a se stessi e troppo spesso, per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, sono costretti a rivolgersi alle forze dell'ordine e alla Magistratura.