Pd senza simbolo, scelta condivisa, ma con qualche mal di pancia

Pd senza simbolo, scelta condivisa, ma con qualche mal di pancia

Quelle del 28 aprile prossimo, a Gela, saranno elezioni comunali diverse rispetto alle precedenti, per diverse ragioni.

Una di queste è il deciso abbandono della logica tripolare che vedeva centrodestra e centrosinistra schierati, con recentemente il M5S a fare da terzo incomodo, tanto da approfittarne fino ad imporsi, addirittura, nella competizione per la carica di Sindaco, in occasione delle scorse amministrative. La prova più evidente è l'assenza di quel centrosinistra e del Pd che hanno governato la città per diversi decenni e che, dopo la sconfitta patita nel 2015, non sono riusciti a creare le condizioni per riproporsi da protagonisti innanzi alla platea elettorale ed hanno, per contro, preferito disertare il campo, diluendosi nel magma delle liste civiche.

Pertanto, nonostante le primarie avessero confortato l'idea che comunque esiste ancora in città uno zoccolo duro dem, sopravvissuto alle vicissitudini ed alle polemiche di questi ultimi anni, il gruppo dirigente locale del Pd ha optato per la rinuncia del simbolo, aderendo al patto civico (solo liste civiche) che ha in Lucio Greco il candidato nella corsa alla poltrona di primo cittadino.

La Lista Civica "Uniti – Siamo Gelesi" è già stata depositata con un proprio simbolo per la raccolta delle firme: «al momento - ci risponde lapidariamente il Segretario cittadino Peppe Di Cristina - mi limito ad affermare che si è trattata di una scelta operata in chiave anti-leghista, contro i populismi e le destre radicali. Per il resto, la priorità allo stato dell'arte è depositare le candidature e raccogliere le firme, più avanti non ci sottrarremo ad un resoconto più dettagliato ed esaustivo intorno alla decisione presa».

Ci avviamo dunque ad una campagna elettorale in cui non vedremo comparire i simboli dei due partiti trainanti i due schieramenti. Ma se per Forza Italia i motivi sono arcinoti e riconducono alla diatriba interna tra “mancusiani”, da un lato e “federiciani/bartolozziani” dall'altro, con i primi accasatisi nella coalizione a sostegno di Greco ed i secondi nella coalizione a sostegno del salviniano Giuseppe Spata, per il Pd il riscontro alle primarie e la presenza ai gazebo dell'intera classe dirigente, come da un bel po' di tempo non si vedeva, non lasciavano presagire a quella che oggi certi ragionamenti “matematici” vorrebbero far apparire come una scelta ad un certo punto scontata.

Forse le primarie congressuali nazionali, per il Pd gelese, sono arrivate troppo tardi? «Tutti sanno che ho suggerito un percorso idenditario già all'indomani della mozione di sfiducia – ci ricorda il consigliere comunale uscente del Pd, Guido Siragusa – avanzando l'idea delle primarie per la scelta della candidatura a sindaco. Ma il mio partito, che è composto da tante anime e sensibilità, non ha accolto questa mia proposta e ne ho dovuto prendere atto.

Non essendo pervenuti a tale scelta identitaria, non restava che il percorso inclusivo, in una coalizione allargata che abbiamo individuato nel patto civico a sostegno di Lucio Greco, anche se questo ha comportato la rinuncia a correre con il nostro simbolo. E' stata una scelta condivisa da tutti e non solo da una parte attraverso la quale, secondo una leggenda metropolitana, si è soliti raffigurare il Pd a Gela, il quale ultimo invece – chiosa Siragusa – è un partito costituito da una moltitudine di uomini, donne e relative teste pensanti».

Una scelta nel complesso condivisa, ma con qualche mal di pancia, anche importante come quello del dott. Gianpaolo Alario, capace – con al seguito i giovani del Pd – di riportare un ottimo riscontro al gazebo gelese con gli oltre 400 voti ottenuti dal candidato Martina: «a mio parere – afferma il dirigente dem – il Pd era in grado e doveva esprimere una candidatura a sindaco, favorendo la costruzione di un altro paio di liste civiche in uno schieramento di centrosinistra, senza ricorrere a primarie. Gela è una città confusa, senza una prospettiva certa ed il Pd poteva aiutarla con un percorso chiaro ed una candidatura autorevole a capo dello stesso, pur comprendendo che c'è un trend a favore della Lega.

Quando si conducono delle trattative è utile, però, coinvolgere anche chi nel partito ci ha messo sempre la faccia e di questo la responsabilità è del segretario, la cui gestione stavolta non è stata così serena e lucida come invece si è dimostrata in tante altre occasioni. Sappiamo dalla stampa, ad esempio, di candidature esterne e questo non va bene. Ma soprattutto rinunciare al simbolo dopo le primarie che hanno dimostrato di essere ancora un partito con un nostro seguito, mi lascia perplesso. Sono un dirigente di questo partito – conclude Alario – stanco di queste congetture e giochetti. Non si addicono alla mia persona. Sono l'unico che è riuscito a costruire qualcosa di concreto per la città in questi anni e si chiama “hospice”. Correre con il proprio simbolo o rinunciarvi – non può essere per il Pd un problema di seggi, ma un problema di uomini e di impegno politico».