Politicamente scorretto/Area di crisi, un fallimento!

Politicamente scorretto/Area di crisi, un fallimento!

Evviva, la montagna ha partorito!

No, non il classico topolino: di meno, niente di più che una formichina, quasi invisibile a noi poveri mortali. Mi riferisco ai risultati fantastici, quasi esplosivi, della “call” (chiamata) relativa all’Area di crisi complessa di Gela. Ricordiamo brevemente.

Dopo la sciagurata chiusura della raffineria sancita dall’accordo del 2014, per favorire nuovi investimenti alternativi fu decretata l’Area di crisi complessa che venne intitolata a Gela, ma che in verità comprende ben 23 comuni, inclusi Vittoria, Caltagirone, Caltanissetta e mezzo Vallone, fino a Marianopoli, che si trova al centro della Sicilia. Fra Stato e Regione sono stati destinati appena 25 milioni di euro di incentivi, poco più che briciole.

C’è stata la corsa agli incentivi? Ma neanche per sogno, anche perché i progetti da presentare dovevano avere un importo minimo di un milione e mezzo di euro. Risultato? Sono state presentate solo sei domande, che complessivamente prevedevano 90 milioni di investimenti, 66 milioni di agevolazioni e “ben” duecento posti di lavoro. Ma i valorosi tecnici di Invitalia si sono armati di forbici e hanno “tagliato” due di questi progetti, tra cui il più grosso in termini di investimento e occupazione.

Il risultato è che hanno superato l’esame solo quattro progetti, per complessivi (udite, udite!) quarantaquattro posti di lavoro, che costeranno ai contribuenti nove milioni e mezzo di euro (ogni posto di lavoro costerà oltre duecentomila euro di contributi).
Un completo e clamoroso fallimento? Ma no, figuriamoci, se affermassi questo mi prenderebbero per il solito rompiscatole. Ma il risultato, diciamo la verità, fa piangere amaramente.

Ed allora finiamola, una buona volta, di prenderci per i fondelli! I megaprogetti, come si vede, non creano occupazione sufficiente. Occorre una urgente modifica della normativa sulle aree di crisi che permetta la presentazione di progetti anche piccoli, di valore minimo di cinquantamila euro, che permetta ai piccoli imprenditori di avviare attività non solo industriali, ma anche artigiane, commerciali, turistiche. Imprese con pochi dipendenti ma diffuse nel territorio, che possano rivitalizzare il tessuto economico della nostra città.

La ricetta è questa, e non ce ne sono altre. Si spengano una buona volta i tromboni della politica e dei sindacati dormienti, e si cominci a lavorare per davvero per recuperare ciò che resta dopo le macerie degli ultimi cinque anni. Tutto il resto sono palliativi senza risultati: si è visto!