A CIMINIERE SPENTE/3 - L’opzione verde di rabbia. A Gela si giocano i destini della svolta ambientale

A CIMINIERE SPENTE/3 - L’opzione verde di rabbia. A Gela si giocano i destini della svolta ambientale

 La svolta ambientale costituisce il collante più appariscente del governo giallorosso sulla rampa di lancio: il Movimento 5 Stelle ed il Pd hanno trovato un sostanziale identità di vedute su questo terreno.
Il pragmatismo del governo renziano (trivelle), l’inerzia pentastellata causata dalla conflittualità permanente fra M5S e Lega, l’assenza di una forza politica ambientalista in Parlamento non hanno giovato alla seppur timida vocazione ambientalista del nostro Paese.

Le recenti trattative per la formazione del nuovo esecutivo hanno però rimesso l’ambiente al centro della scena grazie anche ad una rinnovata sensibilità dei popoli sul tema del clima e della salvaguardia della natura.
Gli interventi sull’ambiente oggi creano consenso, come dimostrano i risultati elettorali ottenuti dai verdi in alcune nazioni europee, come la Germania, l’Austria e la Gran Bretagna.
La prospettiva di essere ripagati alle urne aumenta la possibilità che le volontà degli schieramenti politici siano rispettate.


E’ pertanto possibile prevedere che la green economy, in chiave di tecnologia avanzata, emerga dalle sabbie mobili del debito pubblico e dei parametri di Bruxelles.
Se fosse così, le ciminiere spente di Gela, simbolo della devastazione dell’ambiente e di uno Stato ingrato che abbandona il Sud dopo avergli succhiato il sangue, fanno sperare che Gela possa rappresentare una delle prime prove di buona volontà.


Maneggioni e manager d’alto profilo si sono attribuiti il merito di aver messo in pratica il meridionalismo cartaceo proprio a Gela. Anche uomini dabbene hanno creduto nella resurrezione del sud puntando sull’industria di base, settore velenoso e costosissimo (negli anni Sessanta, 50 milioni per ogni posto di lavoro, l’investimento). Sia i primi quanto gli altri hanno dovuto prendere atto dell’obsolescenza degli impianti gelesi e delle tragiche conseguenze, per uomini e natura, dell’industrializzazione selvaggia, priva di presidi e cautele per la salute delle persone e delle cose.


Maneggioni e onesti, mano nella mano, incapaci di pronosticare il futuro, come si può? Non c’è la necessità di demandare ai posteri l’ardua sentenza: basta dare uno sguardo al petrolchimico a fari spenti per cospargersi di cenere il capo. Il problema è chi se la sente di di selezionare coloro che dovrebbero salire sul banco degli imputati.


Il protagonista dell’avventurosa storia di Gela contemporanea è rimasto un mito nell’immaginario popolare: Enrico Mattei, partigiano democristiano, cervello fine, un’attitudine al pragmatismo degna di un capitano di ventura. Mise in piedi il grande bluff del petrolio di Gela, le cui qualità non avrebbero scippato un dollaro dalle tasche dei petrolieri texani ed oligarchi russi. Troppo catrame.

Fu proprio quella risorsa catramosa della partita che contribuì in modo determinante a dare a Mattei la vittoria nella partita scacchi (per certi versi mortale), che ingaggiò contro le celebri Sette Sorelle, rapaci, spregiudicate e potenti.
Si è detto e scritto poco sull’argomento, con l’eccezione del giallo sulla morte del Presidente, rimasto caso irrisolto. E’ una omisssione, la vera storia del petrolio gelese, che oggi non ci permette di capire per quale ragione si è investito una montagna di soldi per sfasciare un ambiente da favola.

Non vorrei passare come un profeta della decrescita, un pentastelllato di ritorno, ritengo utile ragionare sul ruolo avuto da Gela e dalla Sicilia negli anni Sessanta, nel panorama energetico internazionale, aprendo il sipario a scenari che fanno tremare i polsi.

Scoprire il gioco mediatico messo in campo da Mattei, nel tentativo di smontare il cartello delle Sette Sorelle, servirebbe a stringere il cerchio attorno ai mandanti della fine prematura di Mattei. Grazie al giacimento di Gela l’Agip potè legittimare la sua presenza nel salotto buono delle grandi compagnie petrolifere e accreditare il nostro Paese nel mondo arabo, dove Mattei con una mossa da maestro avrebbe offerto ai paesi produttori, come la Persia (oggi Iran), un dividendo doppio rispetto a quello concesso dalle grandi compagnie petrolifere, il celebre fifty-fifty. Sappiamo come si concluse la cavalcata del Cavaliere Solitario: nel cielo di Bescapè, con una fine crudele.

Il patrolchimico non è una delle fabbrichette in crisi che vendono cioccolatini o cappelli guadagnando l’attenzione dei network. E’ vero che il made in Italy è fatto anche di Baci Perugina e di Pernigotti: hanno dato al nostro Paese, rendendolo attraente, ma la Sicilia ha sputato sangue, le sono stati affidati i miasmi, si è svenata, ha pagato con lo sfascio di mare, boschi, colline e fiumi i numeri della bilancia energetica dei pagamenti. L’Anic di Gela non è uno dei casi di crisi aziendale: né lustrini né umori glamour accompagnano il suo percorso industriale.

Lavoratori e cittadini gelesi hanno respirato aria fetida per mezzo secolo e le ciminiere spente, la cui vista testimonia un popolo cornuto e mazziato, non ispirano nostalgia e rimpianto, piuttosto malanimo. Anche se sono in tanti quelli che vivono gli anni dei fumi e dell’odore acre nell’aria come gli scappati dall’Africa: preferiscono rischiare la vita sul Canale di Sicilia per rompersi la schiena 12 o 14 ore al giorno sulla piana di Sibari al soldo dei caporali o al capezzale dei nostri vecchi.

La Sicilia arranca del resto; non si muove foglia. E’ tutto dovuto ai padroni del vapore, l’accoglienza concessa a basi e strutture militari Usa e Nato, a metanodotti e autostrade per le telecomunicazioni collegate con mezzo mondo. Un ruolo strategico di primissimo piano, una presenza politica inesistente.

Aspettiamo al varco, dunque, questo governo ambientalista, che dovrebbe investire risorse nella green economy e nel Mezzogiorno, finora sedotto e abbandonato dalla perfidia di governanti che non hanno nascosto, nel recente passato, nemmeno la loro avversione verso i terroni mangiapane a tradimento.

Toccherà a Gela – la Gela politica, sindacale; Gela della società civile, pigra ed immatura – mettere alla prova la svolta ambientalista.
Se lo sfascio ambientale è questione nazionale, permane il rischio che rispunti la politica dei “due tempi” (prima la locomotiva, cioè il nord, e poi i vagoni, cioè il Sud) . Che è la variante di una legge, ancora più frequentata, quella del più forte