Da Aldisio a Damagio, l’ultimo big Dc

Da Aldisio a Damagio, l’ultimo big Dc

La recente scomparsa di Saverio Damagio (a destra nella foto) suggerisce uno sguardo sulla storia politica gelese alfine di comprendere forse le ragioni della devastante assenza di rappresentanza politica locale in una comunità che deve affrontare questioni e problemi di ampia rilevanza nazionale come i danni inferti all’ambiente e alla salute dagli insediamenti industriali e la crisi del Mezzogiorno d’Italia (sedotto ed abbandonato).


Va addebitato al destino, cinico e baro, il declino di Gela, o le sue origini vanno cercate anche nella formazione della sua classe dirigente?
La storia politica contemporanea di Gela comincia e finisce con Salvatore Aldisio (a sinistra nella foto). E’ una piccola-grande storia, Aldisio non ha avuto eredi. Non fu padre né padrino di alcuno. La testimonianza della sua presenza a Gela si trova nella Chiesa di San Giacomo, che l’ex commissario straordinario della Sicilia del dopoguerra e ministro dei Lavori pubblici finanziò e volle che venissero deposte le sue spoglie e quelle della moglie, Maria Antonietta.

La storia politica di Aldisio è grande perché resuscitò il Partito Popolare, chiamandolo Democrazia Cristiana, insieme a Giuseppe Alessi. La rilevanza della Dc sulle vicende nazionali è immensa, per questa ragione Aldisio è stato più importante di Alcide De Gasperi, considerato il fondatore e il mentore del partito cattolico.
Grande storia, nonostante tutto, desertificata dall’assenza di eredi a Gela e in Sicilia. A causa di ciò Aldisio è stato dimenticato e De Gasperi è diventato un simbolo della rinascita del Paese dopo la catastrofe bellica.

Chi credette che attorno alla Democrazia Cristiana di Aldisio potesse nascere una generazione di talenti ed una scuola di pensiero politico (c’erano anche Mario Scelba e Luigi Sturzo a quel tempo) rimase deluso. Il partito che amministrò per quasi mezzo secolo Gela non ebbe parlamentari, nonostante e il pieno di voti in ogni consultazione elettorale. I grandi partiti della Prima Repubblica – Dc e Pci, divisi da una manciata di suffragi – disponevano di una solida gerarchia territoriale, che concedeva ai capoluoghi di provincia una specie di golden share. La Dc poggiava la sua organizzazione sulle correnti, partiti nel partito, il Pci sul cosiddetto centralismo democratico; entrambi dunque obbedivano ad una gerarchia di comando inossidabile.

Per decenni gli elettori democristiani gelesi votarono, secondo la corrente di appartenenza e gli input provenienti dai leader provinciali di riferimento. Una massa impressionante di voti che escludevano dalla rappresentanza popolare gli elettori gelesi. I candidati forti della Dc erano designati a Caltanissetta, i candidati forti del Pci erano decisi a Roma e Palermo.

Ci sono state delle eccezioni, poche. Saverio Damagio, ex deputato regionale e senatore della Repubblica, ed il padre – anch’egli senatore e farmacista gelese – fu una di queste. La sua recente scomparsa ha perciò segnato la fine di una generazione di uomini politici cattolici che durante la Prima Repubblica ebbero un ruolo nelle vicende locali (mai in quelle nazionali).

Saverio Damagio sarà ricordato come un gentiluomo ed uomo di buona cultura, qualità queste che oggi si fa fatica a trovare.
La sterilità politica del Grande Capo, Aldisio prima, il rigido sistema di cooptazione costruito dalle lobby correntizie territoriali insediate nel capoluogo di provincia poi, hanno penalizzato varie generazioni di uomini politici a Gela. Che il capoluogo dettasse legge non è stato unicamente un problema gelese, ma a Gela è stato vissuto con maggiore disagio per una ragione importante: il petrolchimico e l’esplosione demografica accrebbero il ruolo della città in Sicilia e nel Mezzogiorno, mentre spariva la sua rappresentanza parlamentare.

A conferma di questa “controtendenza” nel partito di maggioranza relativa, va ricordato che la sinistra gelese, al contrario, è riuscita ad imporre una rappresentanza parlamentare (Emanuele Carfì, Salvatore Placenti, Giovanni Altamore, Lillo Speziale, Salvatore e Rosario Crocetta ecc). Gli esponenti più influenti della Dc gelese dovevano passare attraverso le forche caudine della struttura piramidale nissena.

Le urne nissene sono state storicamente avare con i candidati gelesi della Dc, mentre quelle gelesi sono state generose con i candidati nisseni. I portatori d’acqua gelesi avrebbero benissimo potuto fregiarsi del titolo di primi della classe.

La qualità della classe dirigente democristiana gelese non era affatto più povera di quella del capoluogo. Ricordo alcuni nomi, che mi sono familiari grazie alla mia lunga attività di cronista politico: Cesare Leopardi, Pippo Vitale, Aldo Clementino, per citarne alcuni. Nessuno di loro ebbe un padrino politico, ognuno era dotato di tale personalità ed indipendenza da non incoraggiare il “battesimo”. A Caltanissetta non si fidavano, non rispondevano ad alcuna delle loro scelte.

Nessuna battaglia epocale, nessuna tenzone all’arma bianca. E’ bene precisarlo. Né rassegnazione né deposizione delle armi, ma nemmeno capitolazione o inchini. L’egemonia è stata accettata come dato di fatto inoppugnabile, punto e basta.

Chi volesse studiare attentamente le tendenze dell’elettorato gelese, sarebbe obbligato a partire da un dato essenziale: la soffocante immobilità del cinquantennio democristiano, la estrema volubilità del ventennio recente. Accanto al fenomeno nazionale – fine delle ideologie, caduta di principi, valori, disamore verso i partiti – Gela ha aggiunto una sfiducia, anch’essa distruttiva, verso gli uomini e le donne dai quali ha scelto di farsi rappresentare. E’ come se gli elettori e le elettrici gelesi, bisognevoli di cure, cambiassero medico di volta in volta, scontenti della diagnosi e dei farmaci prescritti. E’ una concausa dei mali di una città, diventata simbolo, suoi malgrado, di una grande occasione perduta per il sud Italia.