Il voto di domenica in Emilia Romagna e in Calabria? In gioco la tenuta di Pd e M5S

Il voto di domenica in Emilia Romagna e in Calabria? In gioco la tenuta di Pd e M5S

Domenica si vota in Emilia Romagna e Calabria.

Un voto da cui il presidente del Consiglio Conte ha preso pubblicamente più volte le distanze, asserendo che la tenuta del governo non dipenderà in alcuna misura dagli esiti delle urne. A nostro avviso, la verità sta nel mezzo. In effetti, più che la tenuta del Conte-bis, in gioco è la tenuta del Movimento 5 Stelle che guarda con attenzione al voto in Calabria e del Pd che guarda con attenzione in particolare al voto in Emilia Romagna. Un crollo di uno dei due partners di governo, o financo di entrambi, potrebbe avere ripercussioni per la tenuta del governo gialloverde. Ma come si presentano i due partiti di governo all'appuntamento elettorale di domenica?

Il Movimento 5 Stelle è in fase riorganizzativa con la novità degli “Stati Generali”, dei “facilitatori” regionali e non solo. Ma la notizia dell'ultima ora è rappresentata dalle dimissioni da capo politico del movimento di Luigi Di Maio. Una decisione che ha un po' spiazzato solo chi non è all'interno del movimento: «Ringraziamo Luigi per quanto ha fatto – ci risponde la portavoce e consigliere comunale pentastellata, Virginia Farruggia (nella foto) – e per il carico che ha deciso di sopportare.

Oggi si è chiusa una fase del Movimento e ci accingiamo ad aprirne un’altra. Siamo in un momento importante e lo affronteremo insieme, Luigi sarà al nostro fianco e questo ci rassicura. Gli stati generali saranno un momento importante di confronto e di rilancio e noi ci saremo».

Di Maio quindi, ancora con e dentro il movimento: «Luigi - prosegue la consigliere Farruggia - ha fatto un gran lavoro e ha portato il Movimento ad essere forza di governo, per questo ha la nostra grande stima. Non è una nomina o una poltrona che fanno di una persona un leader, ma ciò che sei e Luigi ha dimostrato di esserlo. In questi anni, come forza di governo, abbiamo approvato numerose leggi che di fatto hanno cambiato e continueranno a cambiare il volto del nostro paese.

Magari gli effetti li potremo valutare ed apprezzare fra qualche anno, ma il Movimento non ha mai agito per il consenso immediato ma per migliorare l’Italia anche a costo di risultare in alcune scelte impopolare».

Anche il Partito democratico, dal canto suo, vive una fase alquanto controversa. Dopo la diaspora con Renzi che ha fondato un suo partito, "Italia Viva", il leader e segretario dem, Nicola Zingaretti, ha anticipato l'idea di cambiare addirittura nome al partito, sciogliendolo e fondandone di fatto uno nuovo. A differenza dei grillini, questa "uscita" del leader non è passata invece inosservata all'interno del suo partito: «si tratta di una discussione che sinceramente – precisa il segretario cittadino del Pd, Peppe Di Cristina (nella foto) – è ancora a livello embrionale.

Molto di questa come di altre questioni aperte all'interno del partito, dipenderanno dai risultati di domenica, specie in Emilia Romagna. Del resto, lo stesso Zingaretti ha rielaborato la formulazione di quanto annunciato, un po' frettolosamente ad onor del vero, ai media. La vera partita in gioco, quella che ha la massima priorità all'interno del partito è francamente il risultato alle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna. Soprattutto l'Emilia Romagna è un test elettorale importante per noi».

Peraltro, la storia di questo partito ci insegna che passaggi del genere si fanno solo attraverso congressi: «Infatti – prosegue Di Cristina – e sulla base di quale tesseramento? Fai un congresso straordinario solo con l'attuale base dei tesserati on line, ma a questo punto si cambierebbe solo il nome al partito; o allargando la base ad altri, riaprendo il tesseramento magari nel tentativo di intercettare parte della sinistra grillina eventualmente fuoriuscita dal movimento o magari solleticando un ritorno di fiamma con quelli che fuggendo dal Pd nel frattempo si sono rifugiati in Leu?

Si tratta di ragionamenti che avranno un senso maggiore solo dopo l'esito di domenica, dove in caso di un risultato negativo, la leadership si ritroverebbe impegnata più a serrare i ranghi che pensare ad allargare e cambiare il partito».

Insomma, se nel M5S sembra davvero arrivata l’ora di chiudere una prima fase davvero costitutiva, nel Pd aprire scenari di cambiamenti addirittura radicali come quello prospettato dal suo leader, è ancora presto. Meglio aspettare domenica sera