La parabola pirandelliana del sindaco Messinese

La parabola pirandelliana del sindaco Messinese

Eletto sindaco di Gela nelle file dei pentastellati, Messinese (nella foto) viene ben presto espulso dal regno di Grillo.

Affascinato dal modello Pizzarotti, crea un suo movimento civico “Sviluppo Democratico” ove convergono, per breve periodo, molti rappresentanti dell’assise cittadina adesso appollaiati dentro ventri più fertili. In occasione delle elezioni regionali non fa mancare il suo appoggio al centro sinistra – per mezzo di Alleanza Popolare di Alfano – salvo poi dirigersi verso la destra più estrema.

Lo fa durante le scorse politiche di marzo, quando, a scrutinio concluso, esalta la coerenza della Lega di Salvini che a Gela ha fatto incetta di voti. La schizofrenia politica di Messinese non si ferma qui: con una piroetta che si addice alla più leggiadra delle ballerine, si presenta persino all’assemblea dem della settimana scorsa, organizzata per permettere ai militanti e ai dirigenti del partito di analizzare le ragioni della sonora sconfitta registrata alle urne e approntare una strategia efficace per il futuro. Sebbene sgradito, come testimoniano i presenti, il sindaco ha l’ardire di intervenire incentrando il suo discorso – sembra una beffa - sull’identità politica.

Non ci è dato sapere con quale coraggio, dopo tutto questo girovagare febbrile tra i partiti, Messinese possa, senza vergogna, parlare di identità politica durante un incontro pubblico, considerato che è proprio il concetto di identità che dovrebbe inquadrare un soggetto come appartenente ad una comunità – sociale, politica, religiosa – di cui condivide regole e valori. A quale comunità politica Messinese può fregiarsi di appartenere? Di quale partito condivide obiettivi e ideologie?

Il termine “identità” indica l’insieme della caratteristiche che rendono un individuo unico e irripetibile all’interno di un dato contesto, differenziandolo dagli altri. Qual è la dote politica che ha contraddistinto il nostro sindaco finora, se non la ricerca di alleanze contingenti con giunte improvvisate? Non può certo essere ricordato per un’azione amministrativa illuminata o risolutiva delle emergenze che incombono sempre più minacciose sulla città.

Se è vero che l’uso estremizzato del concetto di identità nel fare politica può essere pericoloso perché conduce facilmente a nazionalismi e xenofobie, in quanto presuppone un rifiuto netto di ciò che è diverso dal proprio io collettivo, è altrettanto innegabile che un’identità troppo fluida ha come effetto l’impossibilità di costruire relazioni stabili e durature nel tempo che sono alla base dell’intreccio relazionale che contraddistingue la politica, seppure nelle sue alleanze liquide.

Sperimentare identità diverse e multiple può essere una ricchezza, come succede nel mondo moderno della rete, ma in politica è alla base del trasformismo più becero che istituzionalizza l’attaccamento alla poltrona. Con esso, il fine ultimo del mantenimento del potere giustifica persino il ripudio di se stessi.

Ecco, Messinese sembra soffrire allo stato di una forte crisi identitaria; verosimilmente sta cercando, prima della scadenza del mandato, una collocazione politica che non lo faccia cadere nell’oblio dopo questi anni di inaspettata visibilità.

Comportamenti così incoerenti, come quelli sopra evidenziati, testimoniano che la politica non si improvvisa: che solo anni di militanza possono contribuire a costruire in capo ad un soggetto un’identità politica forte che, a quel punto, egli avrà tutto l’interesse di salvaguardare come elemento che lo differenzia dagli altri, rendendolo credibile agli occhi del suo elettorato