Quando la storia passò da Gela: liberatori, invasori, banditi e smemorati

Quando la storia passò da Gela: liberatori, invasori, banditi e smemorati

Lo sbarco degli Alleati sulle coste siciliane, nota come operazione Husky, segnò la sorte del secondo conflitto mondiale.

Nell’Isola si combattè una battaglia decisiva fra le truppe agloamericane e nazifasciste. Il successo degli Alleati fu propiziato da una serie di circostanze favorevoli oltre che dalle poderose forze messe in campo. Gli americani vennero accolti come liberatori.

A distanza di 75 anni, tuttavia, la questione – se gli americani siano stati “liberatori” – è ancora oggetto di dibattiti, di studi, ricerche, inchieste, saggi e documentari televisivi. Proprio in questi giorni è tornato a Gela uno scrittore inglese, insieme ad una troupe televisiva, allo scopo di ricostruire, per l’ennesima volta, le giornate dello sbarco e le vicende che ne seguirono.

Ben più proficuo, sarebbe, invero studiare con cura, indipendenza di giudizio e competenza la “invasione” subita da Gela alla fine degli anni Cinquanta, quando il boschetto di Bulala fu spianato, le dune di sabbia cancellate, le coste devastate dai mostri d’acciaio e da un esercito di uomini disarmati, venuti con spirito di solidarietà e amore per la nostra terra… Liberatori della povertà o invasori della natura, ridente e rigogliosa?

I soldati angloamericani furono liberatori o invasori? La mia risposta sembra un ossimoro, o non lo è: furono l’uno e l’altro. Invasori, perché erano un esercito “nemico” in armi, liberatori perché l’Italia era in mano alla dittatura fascista ed all’alleato nazista, che si macchiò di orrendi crimini contro l’umanità. Coloro che andarono in montagna per combattere i nazi fascisti, si affiancarono agli invasori, che giudicavano liberatori.

La Resistenza, alla quale parteciparono molti siciliani nel Nord Italia, fu una scelta di democrazia e di civiltà. Tanti italiani a fianco degli angloamericani aiutarono, i liberatori-invasori, a ripristinare i valori più cari alla nostra civiltà, la libertà e la democrazia.

A Gela lo sbarco visse di episodi controversi e, talvolta, crudeli e sanguinosi. I soldati italiani, appartenenti alla Divisione Livorno, assestata sulla piana di Gela, furono protagonisti di atti di indubbio valore. Diedero la vita per la Patria, che l’esercito italiano aveva il compito di difendere dal nemico sbarcato sulla costa.

Chi discetta sulle loro azioni ardimentose, fa torto a ragazzi nati e cresciuti nel rispetto del Tricolore, simbolo della Patria. Non furono, insomma, uomini che stavano dalla parte sbagliata, ma giovani che si sacrificarono per ciò in cui credevano. Le responsabilità di quegli eccidi stanno in alto, molto in alto.

Quanto al comportamento dei liberatori-invasori, se avessero usato sempre e comunque, la generosità e il buonsenso contro il “nemico”, ci sono episodi di inaudita ferocia ed altri di segno opposto. Anche in questo caso bisogna tenere la barra dritta nei giudizi: il mio ricordo è affidato alla testimonianza di mio padre, che dirigeva l’albergo e ristorante Trinacria, ubicato in Piazza Umberto a Gela, dove lo Stato Maggiore americano fu ospitato.

Ebbene, mio padre mi ha riferito, ed ho documenti inoppugnabili che provano della veridicità dei suoi ricordi, che gli “invasori” furono ospiti eccellenti e lo ripagarono anche della posateria consumata. Molti clienti, in prevalenza commercianti, il mattino dopo lo sbarco si presentarono nell’ufficio di mio padre con la divisa di ufficiali di alto grado. Si trovavano a Gela e preparavano lo sbarco, a mio avviso con l’aiuto di autorevoli personaggi locali.

Nella vicina Vittoria, ho letto nelle cronache di guerra, plotoni di soldati americani, avrebbero compiuto delle stragi. E allora? A’ la guèrre comme à la guèrre, secondo una espressione francese. La guerra è la peggiore delle soluzioni possibili quando si deve affrontare un problema grave.

E quando essa è l’unica carta da giocare per riavere libertà e democrazia, resta tale, uno strumento feroce e crudele, che reclama il sangue di innocenti, regala un campo fertile ai mostri e trasforma valorosi combattenti in criminali.
Chi, a distanza di 75 anni, fuori dal terribile contesto, magari per ragioni ideologiche, oggi anacronistiche, o sulla base di un episodio, di cui ha ricordo vivido, crede di potere farsi giudice, assolvere o condannare, pecca di presunzione e, per dirla tutta, di buonsenso.

Ben più importante ed ancora per certi versi scarsamente studiato è il decennio che seguì lo sbarco, quando i liberatori-invasori divennero esercito di occupazione, governatorato militare, e sponsor della nuova Sicilia.
Finita l’occupazione militare, la Sicilia fu teatro di un furibondo conflitto, che anticipò la guerra fredda e ne sperimentò la durezza. La posta in gioco era alta: fermare l’espansionismo sovietico e, in campo alleato, conquistare l’egemonia nell’Isola, per farne un presidio avanzato del nuovo equilibrio strategico politico-militare.

Ancora oggi l’Isola ospita uno dei più potenti arsenali militari americani nel mondo.
Spie, banditi, mafiosi, mercanti di droga, uomini senza scrupoli si contesero il controllo della Sicilia e dei traffici illeciti di mezzo mondo. Caddero sotto il piombo mafioso dirigenti politici e sindacali, braccianti, contadini, uomini e donne innocenti. Vennero compiute stragi ed azioni terroristiche. Si saldarono le relazioni fra la mafia siciliana e americana, che avrebbero monopolizzato i traffici illegali internazionali per più di mezzo secolo.

Gli effetti delle trame, degli intrighi e delle violenze dispiegarono i loro effetti per alcuni anni, durante i quali il futuro della Sicilia restò appeso alle sorti alterne del post-conflitto mondiale prima, alle fazioni interne in campo alleato e ai rapporti di forza fra Occidente e mondo sovietico. L’Isola rimase italiana, ma su di essa gli Usa esercitarono una forma di protettorato: dapprima militare, poi civile, politico ed economico, almeno fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino.

La possibilità che l’Isola divenisse la 49esima stella, uno Stato federale americano, suscita oggi incredulità, è considerata una leggenda legata alla promessa americana fatta al bandito Salvatore Giuliano, che divenne capo militare dei separatisti siciliani e riuscì a tenere in scacco il nascente Stato italiano fino al 1950. Ma Giuliano fu solo l’esca alla quale abboccarono in molti, anche gli indipendentisti isolani.
Queste pagine di storia, scritte e riscritte mille volte, conservano ancora inquietanti misteri.