Museo archeologico, 62 anni fa il battesimo, così Pietro Griffo ne raccontò l’apertura

Museo archeologico, 62 anni fa il battesimo, così Pietro Griffo ne raccontò l’apertura

L’articolo che segue è di Pietro Griffo, ed è stato pubblicato, con lo stesso titolo, sulla rivista mensile del Touring Club Italiano “Le Vie d’Italia”, nel mese di novembre 1958 (n. 11, Anno LXIV), appena due mesi dopo l’inaugurazione del Museo di Mulino a Vento, a Gela.

Pietro Griffo era ancora Soprintendente alle Antichità di Agrigento, che a quel tempo aveva competenze anche sulla Provincia di Caltanissetta, sprovvista di quel presidio. L’articolo occupava otto pagine della rivista ed era corredato di fotografie d’epoca (area archeologica prospiciente al Museo, vetrine d’esposizione, statuette fittili di fine IV secolo avanti Cristo, di cui una “scavata a Costa Zampogna”, vasi sicelioti, ed altre).

Civiltà di Gela

Gran nome nell’archeologica del Mediterraneo, Gela si è arricchita in questi giorni di un Museo che raccoglie terrecotte e ceramiche classiche di singolare eccellenza.

Il 21 settembre di quest’anno ha avuto luogo l’attesa inaugurazione del Museo archeologico di Gela.  conferire maggiore solennità alla cerimonia è valsa la presenza, oltre che di numerose autorità nazionali e regionali, di una eletta schiera di studiosi italiani e stranieri, in occasione di un loro interessante giro attraverso le antichità della Sicilia, che è stato organizzato a coronamento del VII Congresso Internazionale di Archeologia, tenuto a Roma e a Napoli dal 6 al 13 dello stesso mese.

Gli scavi in Sicilia, com’è noto, hanno avuto in questi ultimi anni una fase particolarmente intensa e felice, ad opera delle tre Soprintendenze archeologiche di Siracusa, Palermo e Agrigento. Le conseguenze sulle antiche civiltà dell’isola, da quella remota del paleolitico a quella dei tempi tardo romano e bizantini, ne sono state straordinariamente aumentate e, in parecchi casi, sostanzialmente modificate, sia per quanto può riferirsi ai contribuì dagli scavi stessi forniti per i singoli centri archeologici dove si è operato, sia, e soprattutto, per quanto riguarda la possibilità che si pone di rivedere l’inquadramento tradizionale del processo storico-artistico vissuto dalla Sicilia in quei lontani millenni.

In questa attività s’inquadrano le scoperte e gli scavi, di cui l’eco che ha risuonato insistente nel mondo della scienza e del turismo, fatti a Gela e nel territorio all’intorno dal 1948 ad oggi.

La città antica

Gela è gran nome nell’archeologia del Mediterraneo occidentale. Fondata circa il 689 avanti Cristo, sul luogo di stanziamenti siculo-sicani, da coloni greci che provenivano da Creta e3 da Rodi, gemmò – ad un secolo dalle sue origini – la possente Agrigento, e fu patria dei Dinomenidi, uno dei quali – il grande Gelone – pose le basi dell’impero siracusano nei primi anni del V secolo avanti Cristo. Ospitò, glorioso e venerando, Eschilo, che vi morì circa la metà dello stesso secolo.

E fu sede, nel 424, di un importante congresso, nel quale i Greci di Sicilia, sollecitati all’intervento nel conflitto tra le egemonie di Sparta e di Atene, solennemente affermarono la loro indipendenza di giudizio e di azione rispetto alle madrepatrie della Grecia propria. Subì l’onta della disfatta ad opera Cartaginesi di Imilcone nel 405 e, dopo varie vicende nel corso del IV secolo, per cui ebbe un periodo di grande rifioritura ai tempi di Timoleonte, fu distrutta circa il 280 avanti Cristo, quando la sua popolazione fu costretta a trasferirsi in altra città, che l’agrigentino Finzia costruiva  – dandole il proprio nome – nel sito dell’attuale Licata.

Sulla collina di Gela e nel contado i rinvenimenti archeologici sono, da secoli, cosa di tutti i giorni. Ma sempre tutto quello che dal grembo generoso di questa terra tornava alla luce era stato allontanato dalla sua sede di origine, sì che a migliaia le terrecotte dei suoi santuari e i vasi delle sue necropoli, costituiscono oggi vanto e ricchezza dei maggiori musei e delle più note collezioni d’Italia e dell’esterno. Sul posto, ad eccezione del fusto abbattuto di una colonna dorica tra le sabbie dell’Acropoli, nulla rimase a testimoniare dell’antica grandezza, nemmeno quando Paolo Orsi vi scavò, assiduamente e con grandiosità di risultati, nei  primi tre anni del nostro secolo e a più riprese nei decenni successivi. Egli trasportò tutto quello che rinvenne nel Museo di Siracusa, da dove la fama di Gela corse il mondo attraverso le numerose relazioni e monografie che egli andò pubblicando.

Oggetto degli scavi dell’Orsi erano stati soprattutto le necropoli, sia quelle arcaide sia quelle del V secolo, e qualche santuario. Le sue ricostruzioni della topografia dell’antica città erano risultate necessariamente monche e imprecise, e tali sarebbero rimaste, con conseguenti imperfezioni nella conoscenza scientifica delle cose ad essa relative, se l’archeologia non avesse avuto in quest’ultimo decennio occasione di vigorosa ripresa dal concorrere di particolari circostanze, che hanno permesso alla Soprintendenza delle Antichità di Agrigento di operarvi, con grande entusiasmo e con rigorosa razionalità, quanto, generalmente, in questo campo non è facile proporsi o sperare.

Le ultime scoperte

Le mosse per questa ripresa furono segnate, nel febbraio del 1948, dalla scoperta a Capo Soprano di un tratto di quelle fortificazioni greche a doppia tecnica (conci arenari squadrati nella parte inferiore, mattoni di terra cruda in quella superiore) che, integralmente scavate, restaurate e sistemate, hanno finito per costituire uno dei monumenti scientificamente più notevoli della Sicilia ellenica e uno dei richiami turistici più interessanti sulla via che da Agrigento conduce a Piazza Armerina e a Siracusa.

Le mura di Capo Soprano diedero a Gela, per la prima volta e in misura imponente, quei resti monumentali che l’Orsi aveva escluso vi si potessero comunque rinvenire; e posero tutta una serie di nuovi problemi, sia topografici (la città antica era stata molto più estesa di quanto non si fosse prima pensato) sia storici (ampliamento della cinta fortificata in relazione alle vicende con cui si conclude il V secolo; restauro delle mura, smantellate nel 405, ad opera di Timoleonte).

Di qui la successiva impostazione di ricerche sistematiche su tutta la collina che fu sede della città ellenica; ricerche che da Capo Soprano, limite occidentale della collina medesima, furono spostate alla sua estremità orientale, dove, sulla collina denominata Molino a Vento, sono i santuari e le abitazioni della vecchia acropoli, nello stesso tempo che si svolgevano intensamente in tutto lo spazio compreso tra questi due estremi, mediante il controllo rigorosissimo del divenire edilizio della nuova città, che ha permesso di salvare materiali abbondantissimi e molto interessanti sia dal punto di vista archeologico sia da quello artistico.

E’ facile immaginare quanto tutto questo abbia potuto contribuire alla ricostruzione delle vicende storiche e della topografia gelese. Il periodo per il quale si sono avute maggiori rivelazioni è stato quello compreso tra la prima distruzione cartaginese del 405 e quella definitiva del 282 avanti Cristo, periodo che, contrariamente a quanto si riteneva, vide risorgere Gela con nuovo splendore di mura, di case, di edifici pubblici, grazie all’opera restauratrice di Timoleonte.

Sei nuovi santuari arcaici sono stati identificati in aggiunta a quelli già scoperti dall’Orsi, mentre la ceramica, le terrecotte e le monete hanno confermato i dati storici in nostro possesso, sia per quanto riguarda l’epoca della fondazione rodio-cretese, sia per quanto si riferisce al momento ultimo della città (282-280 avanti Cristo), oltre il quale sulla collina e nel contado si colgono sporadici segni di una vita modesta che perverrà ai tempi dell’alto Medioevo.

Da Gela, per naturale ampliamento, la ricerca archeologica della Soprintendenza s’è estesa prima al suo immediato retroterra, poi, a mano a mano, in tutto il territorio della provincia di Caltanissetta, di cui Gela fa parte. Si trattava di seguire, nelle sue fasi successive, il rapido svolgersi dela penetrazione greca dalla costa centro-meridionale della Sicilia verso le riposte regioni dell’interno, e il processo di ellenizzazione delle città indigene a partire dal VII e nel corso del VI secolo avanti Cristo.

Una serie di fortunate scoperte, assiduamente e organicamente perseguite, ha consentito di ricostruire, con visione in gran parte nuova, le conseguenze dell’azione civilizzatrice assolta dai rodio-cretesi di Gela e di Agrigento in quei tempi e in questi territori. Ne è risultato investito, con questo, tutto il problema della colonizzazione greca in Sicilia e profondamente modificato il vecchio schema storico che contrapponeva una fascia di città greche sulla costa a dei centri puramente indigeni nelle zone montuose dell’interno. Sempre nell’interno si è potuta cogliere al vivo, come a Gela, la rinascita di questi centri ellenizzati nella breve e felice età di Timoleonte.

Lo scavo e l’esplorazione di centri e fattorie romane hanno permesso di chiarire sempre più i caratteri de dominio romano nell’Isola, con il suo decentramento urbano, il formarsi di grandi latifondi, il trapasso all’età cristiano-bizantina, l’affacciarsi al medioevo. Notevoli contributi alla storia dell’arte hanno porato, infine, la scoperta di bellissime terrecotte – capolavori in molti casi della coroplastica siceliota, ch’ebbe da queste parti maestri di eccezionale bravura e sensibilità – e l’identificazione, sia a Gela sia nel retroterra, di fabbriche locali di ceramica, attestanti una produzione vascolare che ininterrottamente si svolse dall’epoca arcaica fino ai tempi ellenistici.

Il Museo di Gela

A coronamento di tanta attività, e perchè vi fosse esposto il frutto degli scavi compiuti e di quelli che verranno, ora per la prima volta trattenuto sul posto della sua scoperta, è sorto il Museo recentemente inaugurato. Esso ha sede all’ingresso degli scavi dell’Acropoli ed è un semplice dignitoso edificio, volutamente concepito in tono d’apparente modestia, perchè meglio risulti la preziosità dei materiali che, come in uno scrigno, si custodiscono nell’interno.

La sua organizzazione risponde a criteri del massimo rigore scientifico, e nello stesso tempo tiene conto delle più sane esigenze della moderna museografia. Da ciò la distinzione delle cose esposte in due diversi settori: una sezione, il museo vero e proprio, comprende in 44 vetrine materiali sceltissimi (di Gela e del territorio cui abbiamo sopra accennato), che interessano tutto il pubblico dei visitatori, mentre un’altra, nel sotterraneo, contiene, in una sistemazione topografica e cronologica che ripete da vicino quella adottata al 1° piano, altro abbondante – e sempre notevole – materiale dagli stessi scavi, destinato però più propriamente all’approfondimento degli amatori.

Senza dire degli ampi magazzini, ai quali sono state dedicate cure non meno rigorose ed amorevoli, sì che gli specialisti possano trovarvi materia pronta e facile per i loro studi particolari. Da questi punti divista, il nuovo Museo di Gela può dirsi veramente un piccolo modello, che è destinato a riscuotere, come già ne ha riscossi, larghi consensi (1).

Proviamoci a visitare rapidamente il 1° piano. Un ampio salone ci si presenta appena entrati. A destra, una grande diapositiva della collina di Gela, su cui è segnata a colori la rappresentazione grafica della sua antica topografia. In quattro luminose vetrine sotto un ballatoio, ecco, quasi a introdurci nello splendore dell’antica metropoli, una bella raccolta di vasi greci, in gran parte attici a fondo nero, a fondo rosso o a fondo bianco, recentemente acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione dalla famiglia Navarra, che la deteneva da circa la metà del secolo scorso, quando, assieme a numerose altre andate disperse, essa fu costituita con oggetti provenienti dai santuari e dalle necropoli della collina e del contado.

Il resto del salone contiene materiali di Molino a Vento. Al centro, su basamento in pietra calcarea, due rari capitelli ionici a volute e ovoli e altri elementi architettonici dello stesso stile (V secolo avanti Cristo), rinvenuti in una cisterna presso il Museo. In altre quattro vetrine sulla parete ovest, suppellettile varia (ceramica, coroplastica e bronzi) dagli scavi nei santuari dell’Acropoli.

Qui, in una stratigrafia archeologica che è stata rilevata con la massima cura, si sono potuti studiare il susseguirsi e il sovrapporsi della colonizzazione greca alla vita indigena nei primi decenni del VII secolo avanti Cristo e gli sviluppi della nuova colonia da questo momento in poi. I materiali esposti ne danno chiara e interessante documentazione. Ai vasi preistorici seguono le ceramiche e le terrecotte d’importazione, cui s’accompagnano – per poi soppiantarle – i vasi, le figurine, le antefisse che furono fabbricate a Gela ininterrottamente dal VII secolo sino alla fine della sua vita antica.

Ogni vetrina, potremmo dire, ha capolavori di questa produzione artistica locale che raggiunge espressione massima nella bellissima protome equina da un acroterio fittile del V secolo esposta in apposita vetrina in fondo al salone. Interessanti documenti della decorazione fittile dei templi arcaici, che ebbe a Gela particolari sviluppi e caratterizzazioni, sono affissi a quattro grandi pannelli sovrastanti le vetrine.

Sul ballatoio, nove piccole vetrine contengono gli oggetti della suppellettile, specialmente votiva, rinvenuti nei santuari che i recenti scavi hanno permesso di aggiungere – come s’è detto – ai pochi già noti. Anche qui, a parte i contributi acquisiti per la conoscenza dei culti greci di Gela, valgono i prodotti della coroplastica locale, presenti, tra mille altre cose, con autentiche opere d’arte, quali le antefisse a testa silenica dal santuario presso il Molino Di Pie

tro e il grande acroterio a testa di Gorgone da zona vicina allo scalo ferroviario, dove fu pure rinvenuto un prezioso ripostiglio con circa 1200 monete greche di argento. (Con altri ripostigli esso è esposto nel medaglione annesso al Museo).

L’ala nord e l’ala est sono riservate alla documentazione dell’abitato e delle necropoli. Gli oggetti esposti sono i più vari sia per forma sia per provenienza e cronologia. Al solito, meritano particolare menzione alcuni esemplari di vasi, sia arcaici che ellenistici, di accertata o comunque chiara produzione locale, confermata peraltro dalla scoperta di fornaci rispettivamente in via Dalmazia e presso la chiesa S. Giacomo.

Ma non va taciuta la ricca serie di vasi attici provenienti dai cimiteri dell’età classica (crateri, anfore e soprattutto Lekythoi), che rappresentano nel Museo di Gela – oltre quelli della collezione Navarra – l’inesauribile quantità di prodotti della grande ceramica greca qui rinvenuta, di cui esemplari numerosissimi e di notevole valore d’arte riempiono intere sale nei musei di Siracusa e di Palermo. E l’attenzione del visitatore deve anche richiamarsi sui vari oggetti della prima età ellenistica (vasi, statuette, frammenti architettonici, ecc.) che sono stati restituiti dagli scavi nel settore occidentale della collina di Gela e in località del contado come Manfria, in quanto documenti preziosi di quella splendida ma effimera rinascita che alla città toccò di vivere prima che eventi luttuosi ne segnassero il definitivo tramonto.

Il panorama della “civiltà” gelese quale abbiamo visto svolgersi in questa rapida rappresentazione si amplia e si completa con i materiali esposti nell’ala sud. Qui, in sintesi, sono presentati i risultati degli scavi e dei ritrovamenti che hanno avuto luogo nel retroterra di Gela e nei territori dell’interno interessati alla sua espansione.

Le zone di Butera, Mazzarino, S. Cataldo, Caltanissetta, Mussomeli, ecc., sono state sottoposte, in una ricerca minuziosa e spesso dura che è merito precipuo dell’Adamesteanu, a un processo di chiarificazione della loro problematica archeologica il quale ha dato – come si diceva – frutti del più grande interesse scientifico, nello stesso tempo che ha fornito suppellettile abbondantissima e preziosa anche per valore d’arte. A tutto questo materiale il Museo di Gela ha dato sistemazione intelligente e rigorosa, che ne ha messo in risalto ogni significato e caratterizzazione.

Pietro Griffo - Soprintendente alle Antichità di Agrigento

Nota. Alla sua costruzione hanno contribuito la Cassa per il Mezzogiorno e la Direzione Generale delle Belle Arti. Progettista dell’edificio: l’arch. L. Pasquarelli. Alcune modifiche nel suo assetto funzionale e tutta la parte estetica del suo ordinamento sono dovute all’arch. F. Minissi. Agli scavi gelesi e alla preparazione del museo hanno ampiamente collaborato gli ispettori della Soprintendenza D. Adamesteanu e P. Orlandini.