L'uno marzo del 2014 mi trovavo a Sacrofano, alle porte di Roma, all'Istituto Fraterna Domus come uno dei partecipati della XXVI Assemblea Nazionale della Federazione Italiana Esercizi Spirituali che, approvata da Paolo VI nel '64, celebrava i 50 anni di vita.
Eravamo lì in oltre 100 persone, pervenuti da tutta Italia, chiusi quasi come in un Conclave per eleggere il nuovo Consiglio nazionale della FIES. Consiglio che fu celebrato il pomeriggio del giorno seguente e che mi vide eletto fra i consiglieri nazionali insieme a don Roberto Dominichini, Alan Bartolas, don Dante Carolla, Raffaele Palomba e suor Carla Tedeschi.
Rimasi sorpreso per quella nomina non aspettata, come lo era stata nel triennio precedente la nomina – sempre a Roma – a consigliere nazionale dell'Unione Cattolica Stampa Italiana.
Ma a Sacrofano la cosa che mi rese più felice fu l'apprendere che il giorno dopo il nuovo Consiglio capeggiato dal presidente Emerito S. Eminenza il cardinale Salvatore De Giorgi (già Arcivescovo di Palermo), dal presidente S.E. mons. Giovanni Scanavino e dal segretario, il gesuita padre Salvatore Zanda, saremmo stati accolti in udienza in Vaticano da papa Francesco. Una vera sorpresa che nessuno si aspettava. L'incontro con il Santo Padre avvenne il 3 marzo alla sala Clementina.
Fu bello, emozionante, stringergli la mano e potere scambiare pure una battuta sui miei film religiosi che gli portai in dono, avendone fortunatamente portato alcune copie con me.
E della collezione facevano parte anche i miei lavori sulle martiri Agata e Lucia. All'udire di quelle 2 grandi sante siciliane, papa Francesco sorrise e mi disse che santa Lucia era molto venerata anche nella sua Argentina. Rimasi commosso da quella frase, accompagnata poi da un “bravo, sei bravo!”, da una carezza, e da una benedizione che mi impartì con sguardo tenero, quasi paterno.
Quando quel breve ma straordinario incontro finì, e tutto il gruppo in autobus lasciò il Vaticano per tornare in istituto, pensai a quei momenti trascorsi davanti al papa, cercando di scolpirne meglio il ricordo nella memoria. Ricordo che non si è mai affievolito e che si è focalizzato per sempre su quel volto franco e gioviale, e sullo sguardo acuto e profondo di Francesco.
Un pontefice che ha interpretato il Vangelo proprio come Pietro, il primo degli Apostoli, da cui ha ereditato la grandezza della profezia e anche i limiti che ogni essere umano porta con sé perché imperfetto.
Un pontefice coraggioso, cui certo non sono mancati dubbi e travagli, ma che lottando convintamente contro gli scandali della Chiesa, contrastando la pedofilia, sostenendo la causa degli ultimi, ha indicato una possibile via di riscatto per l'umanità dolente e scosso le coscienze.
L'ultima lezione, il volere riposare in una modesta bara sulla nuda terra, non solo segno di umiltà, ma anche monito per tutti. Come a dire che nessuna ricchezza, nessuna elevata condizione sociale e nessun privilegio terreno ci salva da sorella morte.