L’ospitalità gelese non abita più qui

L’ospitalità gelese non abita più qui

Dedico la mia odierna attenzione ad un argomento che, da gelese, innamorato della città che mi dette i natali, immaginavo, prima o poi, di analizzare, per esaltarne talune peculiarità

ed in particolare quella della sua tradizionale ospitalità, che, nel corso dei secoli (abbiamo 2.703 anni di storia), ha fatto letteralmente innamorare centinaia di persone, che, giunte dalle nostre parti per ragioni di lavoro, negli Sessanta e Settanta, hanno finito col mettere radici, rinunciando, benché ne avessero la possibilità (non c’erano più impegni di natura lavorativa o professionale a trattenerli), a far ritorno nei rispettivi luoghi di origine, preferendo continuare a vivere nella nostra città, che, pur con tutte le sue contraddizioni ed i suoi disservizi (primo fra tutti quello idrico), con il suo clima, il suo mare, da alcuni anni, tornato cristallino e popolato di pesci di varie specie (anche in prossimità del bagnasciuga), il suo cielo quasi sempre limpido, il suo sole, i suoi tramonti mozzafiato, il suo entroterra, la sua fertile pianura, a lungo verdeggiante e con le preziose testimonianze del suo antico splendore, riesce ad esercitare un fascino senza tempo.

Il mio disagio deriva da un’amara constatazione: a Gela, non solo si è smarrito ogni senso di cortesia e ospitalità, retaggio delle sue origini greche (Omero, narrando, nell’Odissea, le peripezie del re di Itaca, Ulisse, si sofferma, in più occasioni, sul tema della ospitalità, a volte concessa, in altre, negata all’eroe greco), ma, in talune particolari circostanze, si arri- va pure a violare la legge.

A rendersene, consapevolmente o meno, responsabili sono taluni gestori di esercizi pubblici, ubicati nel centro storico, i quali, ricorrendo a banalissime scuse, arrivano a negare l’uso della toilette all’occasionale avventore, esponendolo ad intuibili disagi e sofferenze, ma anche a possibili malori, più o meno
gravi e, comunque, tali da metterne a repentaglio la vita (lo stress che ne deriva può essere causa di un infarto e, nella migliore delle ipotesi, si può essere incriminati del reato di lesioni colpose). Che espone il responsabile della condotta, anche a possibili gravi conseguenze (pena detentiva e pecuniaria), integrandosi la fattispecie delittuosa, di cui all’art. 590 c. p..

Una tal eventualità, ovviamente, a tutti i costi e con ogni mezzo, è da scongiurare, al fine di evitare l’ulteriore danno d’immagine che ne potrebbe derivare alla nostra città, per la prevedibile vasta eco che simili episodi potrebbero avere sulla stampa quotidiana e periodica di tutta l’Italia.