Politicamente scorretto/ L’area di crisi complicata

Politicamente scorretto/ L’area di crisi complicata

Gela, come tutti sanno, è stata dichiarata “area di crisi complessa”. Le aree di crisi industriale complessa riguardano territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale e con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, non risolvibili con risorse e strumenti di sola competenza regionale.

Questo “status” dovrebbe prevedere benefici di vario tipo per rivitalizzare l’economia, interventi che fino ad ora si sono visti ben poco. Vale come esempio il misero bando (25 milioni) gestito da Invitalia per i 23 comuni dell’area di crisi, con sei domande presentate ed una sola ammessa a finanziamento (poco più di quattro milioni per 21 posti di lavoro). Tutto questo in un’area di crisi che parte da Vittoria e Caltagirone per arrivare a Serradifalco e Montedoro.

Nel febbraio 2014 l’Eni annunciava il “Progetto Gela: una nuova raffineria”, con investimenti per 700 milioni, nove mesi dopo (con il placet di politica e sindacati) chiudeva gli impianti per la cosiddetta “riconversione” verde. Ma evitando accuratamente di parlare di bonifiche, se non per piccole porzioni di aree industriali.

Oggi l’Eni, tramite la sua consociata Versalis, minaccia di infierire con un colpo mortale sull’economia di Gela. Avviene nel settore dell’autotrasporto, con la possibile chiusura del Polo logistico della nostra città ed il trasferimento dell’attività a Bicocca, in quel di Catania.

Il nodo del contendere riguarda Terminal Italia, società delle Ferrovie dello Stato, che gestisce il Polo, e che per l’emergenza Covid19, nell’impossibilità di fare effettuare trasferte, ha operato da Bicocca. Adesso le restrizioni sono state annullate, si potrebbe riprendere il lavoro a Gela, ma pare che il trasferimento a Catania pssa diventare definitivo. Versalis (quindi Eni), che è il committente, nicchia, non prende posizione, non impone a Terminal Italia di operare nuovamente su Gela.

Cosa si rischia? La perdita di posti di lavoro nel settore autotrasporto, e il crollo dell’indotto (officine, ricambisti, distributori di carburante, servizi vari).

L’amara riflessione è che Eni e le sue società, come sempre, guardano solo e soltanto ai propri interessi. Il che, se da un lato può apparire legittimo, dovrebbe bilanciarsi con una attenzione al territorio in cui hanno operato e continuano ad operare.

Ma visto che se ne fregano altamente, qualcuno dovrebbe far capire loro che non se la possono cavare con la ormai mitica fontana all’ingresso est della città, né con una unità di terapia intensiva all’Ospedale: devono avere rispetto per la città e i cittadini, salvaguardando ed incrementando le attività lavorative, non impoverendo ulteriormente il territorio.

E’ per questo motivo che divento matto quando sento qualche comprimario della politica locale che propone di chiedere ad Eni qualcosa. Mi sembra come una richiesta di elemosina. O come un’evidente “sindrome di Stoccolma” della politica locale, che nonostante l’Eni abbia (almeno negli ultimi anni) massacrato la città, in fondo la ama e cerca di spremere qualche piccola goccia del sostanzioso limone. 

E allora servono la barra dritta, l’autorevolezza, la decisione. Il sindaco e l’amministrazione devono richiamare Eni e Versalis alle proprie responsabilità: che non si permettano di impoverire ulteriormente il territorio, che non si permettano di causare la perdita di posti di lavoro e di fatturati dell’indotto del settore autotrasporto. E la politica regionale e nazionale prenda posizioni chiare e nette su questo. La città merita rispetto, i gelesi meritiamo rispetto. Finiamola, una volta per tutte, con i balletti e le ipocrisie. Perché siamo area di crisi “complessa”, ma Eni la sta facendo diventare area di crisi “complicata”.