Per settimane a Gela non si era parlato d’altro: auto carbonizzate nella notte, fiamme improvvise che hanno minacciato persone e cose, la paura e la rabbia della gente.
Sembrava fossero tornati i tempi bui del racket, quando a chiedere il "pizzo" non c'era un clan ma due (stidda e cosa nostra) e poi anche tre (‘u ierru).
Invece magistratura e forze dell'ordine, dopo mesi di indagini, dietro questi episodi di violenza insensata hanno scoperto che si celava la figura inquietante di un malato mentale, S.G., un uomo di 38 anni affetto da gravi disturbi psichici, già noto alle forze dell’ordine per reati simili e per tentato omicidio.
La sua storia di incendiario seriale ripropone purtroppo il nodo irrisolto della salute mentale in Italia e della sua gestione nei territori, dopo l'entrata in vigore della "Legge Basaglia" e la chiusura dei manicomi. E' la conferma di quanto fragile possa essere il confine tra disagio psichico e pericolo sociale, tra richiesta di aiuto e risposta tardiva delle istituzioni.
«Gensabella, ritenuto dai medici socialmente pericoloso, non colpiva a caso» dicono gli inquirenti. «La sua logica era deviata, ma coerente: bastava un saluto non ricambiato, una parola sgarbata, uno sguardo indifferente, e la vendetta scattava. Iniziava con lettere minatorie, poi passava ai fatti».
Di notte, con il volto celato da una mascherina anti-Covid, un berretto in testa, con bottiglie di benzina infilate in una busta della spesa e un pacchetto di fiammiferi, entrava in azione. Ne colpiva uno ma ne danneggiava tanti. In tre mesi ha incendiato in totale 10 automezzi. Dopo cinque mesi dal primo episodio è stato arrestato dai carabinieri su ordine del Gip del tribunale gelese.
All’operazione non è stato dato un nome ma i particolari sono stati illustrati durante una conferenza stampa convocata lunedì scorso in tribunale dal Procuratore della Repubblica, Salvatore Vella, affiancato dalle pm Lucia Caroselli e Dina Aletta, quest'ultima titolare dell'indagine, dal comandante del reparto territoriale dei Carabinieri di Gela, tenente colonnello Marco Montemagno, e dal dirigente del commissariato di Polizia di Gela, il vice questore Emanuele Giunta.
Il primo attentato a lui addebitabile risale al 26 dicembre 2024, nella notte tra Natale e santo Stefano. In via Generale Cascino, davanti a un palazzo di cinque piani e a ridosso di un distributore di benzina, l’uomo incendia un’automobile.
Le fiamme si propagano rapidamente ad altri veicoli parcheggiati lì accanto, distruggendone in totale cinque. Il fuoco minaccia le colonnine dei carburanti e lambisce l'edificio in cui dormivano, ignari, gli inquilini che, svegliati dall'aria irrespirabile, scappano mezzi intossicati dal fumo. Lui non considera nemmeno che col suo gesto scellerato avrebbe potuto ammazzare tanta gente.
«Poteva essere una strage», dice il comandante dei carabinieri Montemagno, che ha visto e rivisto scene drammatiche esaminando ore e ore di registrazione sui nastri di videosorveglianza, tracciati e tabulati telefonici per ricostruire tecnica e dinamica dei roghi dolosi.
La seconda incursione avviene il 20 marzo 2025, in due punti diversi della città. Vanno a fuoco altre quattro auto. E sono nove. Ma a tutte bisogna aggiungere la vettura della Procivis, l’associazione di protezione civile di Gela, presa di mira qualche tempo prima.
«L’uomo era metodico nel cercare di sfuggire alle indagini: cambiava abiti, orari, costruiva falsi alibi». Il vice questore, Giunta, ci rivela qualche particolare e ci parla anche di certi suoi atteggiamenti arroganti. Tra le lettere anonime – scritte prima a mano poi con una stampante per non farsi identificare – ne avrebbe mandata una alla sua vittima di turno avvertendola: «se vuoi, compratene pure un'altra di macchina, tanto io te la brucio lo stesso». Il clima in città era ormai segnato dalla tensione. Chiunque temeva di poter diventare la prossima vittima dell'incendiario. Nella cittadinanza cresceva il panico e il bisogno di risposte.
Se n'è parlato con rilievo il 4 aprile scorso durante una seduta del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica riunito a Gela dal prefetto di Caltanissetta, Chiara Armenia, che richiama l’attenzione di tutte le forze istituzionali sull’urgenza del caso. Le indagini della polizia e dei carabinieri, coordinate dalla Procura della Repubblica di Gela, entrano presto nel vivo.
Le forze dell’ordine riescono a individuare e identificare il presunto incendiario e scatta l'arresto su ordine del Gip del tribunale. L’uomo viene posto ai domiciliari, sotto costante controllo elettronico tramite braccialetto.
Ma per un soggetto definito “socialmente pericoloso” non basta una misura detentiva ordinaria, ci vogliono anche le cure. Il procuratore Vella chiede così che Gensabella venga trasferito in una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) struttura sanitaria protetta dove può ricevere cure adeguate e allo stesso tempo non rappresentare un rischio per la collettività.
«Vorrei sottolineare – ha dichiarato il Procuratore – che per questi tipi di personaggi con problemi mentali e con profili di pericolosità sociale spiccata, probabilmente c'è un buco nel nostro ordinamento. Non parlo di soggetti usciti dai manicomi chiusi. Sto parlando di soggetti che hanno un profilo di pericolosità per sé e per gli altri particolarmente elevata. Dovrebbero essere previste maggiori strutture di contenimento rispetto agli odierni arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Sono necessarie misure che possano consentire altro trattamento per incidere sull'aspetto della loro pericolosità».
Ma poi tranquillizza tutti. E con lui anche i vertici delle forze dell’ordine locali. Ai cronisti dichiarano che «con l’arresto dell’incendiario seriale si è neutralizzata l’emergenza incendi dolosi». Tuttavia, invitano i cittadini a mantenere alta l’attenzione e a collaborare con le forze dell’ordine segnalando ogni episodio malavitoso e gli eventuali autori.
E difatti, non c'è stato nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo per l'arresto di Gensabella che dalla frazione balneare di Manfria arriva la notizia di un nuovo attentato incendiario.
Sconosciuti malviventi, nella notte tra sabato e domenica, hanno dato alle fiamme la grande veranda attrezzata del bar-pizzeria «3P». I proprietari, svegliati dalle fiamme, hanno cercato di domare il rogo con acqua ed estintori, prima dell’arrivo tempestivo dei vigili del fuoco che hanno impedito il propagarsi dell’incendio al resto del locale. Anche su questo episodio le indagini sono in corso. La coincidenza temporale solleva nuovi interrogativi: si tratta di un episodio di emulazione di un’altra mente disturbata? O forse siamo di fronte a un segnale lanciato dalla criminalità organizzata?
Sarebbe inquietante scoprire all'improvviso che imprenditori e commercianti gelesi sono finiti in un altro libro mastro della mafia come negli anni '80.
Allora tacevano per paura. Ma questa volta sono proprio le potenziali vittime che si dicono non più disposte a sopportare. E in un documento diffuso dall'associazione antiracket, retta da Salvino Legname, scrive: «Esprimiamo totale solidarietà e vicinanza ai gestori del locale 3P, alle loro famiglie, ed ai dipendenti che ci lavorano.
Questo grave atto intimidatorio deve essere assolutamente perseguito, sia dalle forze dell’ordine, dalla magistratura e da tutti gli organi istituzionali di competenza, affinché vengano identificati, ed arrestati, coloro che ancora credono di potere sottomettere la nostra città, compresa la popolazione che non può più permettersi di stare in silenzio, ma che deve assolutamente reagire, denunciando tutti i crimini che avvengono nel nostro territorio.
La gravità di questo atto, corrisponde alla stessa logica di quelle che hanno perseguito le consorterie mafiose, le quali vorrebbero farci ritornare nel buio, ed è per questi motivi che come associazione Antiracket di Gela, con decisione, non faremo mai mancare il nostro ultradecennale supporto alle vittime di prepotenze ed abusi».