Il Grande Commiato: Lucio Greco e la solitudine

Il Grande Commiato: Lucio Greco e la solitudine

Il commiato è un appuntamento con il destino sia nella buona che nella cattiva sorte; ovunque esso si compia – nell’ambiente più prestigioso o nei templi di culto – pretende solennità, memoria,  malinconia, una vena di rammarico, e una platea muta e deferente o disamorata.

Esso assurge, talvolta senza volerlo, a sigillo del tempo che muta. Fa la storia, magari senza averne diritto. Abbandono forzato o scelta consapevole, il commiato lascia segni indelebili, impronte visibili, e tracce labili a pochi privilegiati. La platea ha il compito di plaudire qualunque sentimento prevalga: gioia, liberazione, insofferenza, scoramento. Le sorti di chi si accomiata le appartengono.

In questo teatro dell’assurdo, colui che calca il centro della scena deve assecondare il suo umore e subire la parte del comprimario, perché l’appuntamento con il destino va rappresentato secondo regole immutabili del commiato mai tradite. Un boccone amaro, che l’applauso, sentito o falso, addolcisce tenuemente, perché il commiato resta una perdita.

Se la sua rappresentazione si svolge in Chiesa, l’applauso giunge solo fuori dal tempio, ed è un ringraziamento liberatorio ed un omaggio carico d’indulgenza; quando avviene in vivenza fuori dai luoghi di culto, battere le mani è un gesto immediato, suggerito dalle buone maniere, la deferenza o la consuetudine. Il volto dei plaudenti assume la maschera del teatro di cartone: imperscrutabile, inconoscibile, sia esso  bagnato di lacrime o straniato, quasi sorridente.

Solo la malinconia, che meglio s’adatta nella postura mediana, sopravvive alla stranezza della rappresentazione. Le tecnologie oggi hanno messo in campo strumenti così forti e duttili da permettere l’indugio, il pensamento e il ripensamento, l’insulto o l’omaggio, senza dovere vigilare su gesti ed emozioni. 

Solo avendo contezza del suo valore commiato si comprende, apprezza o meno, il commiato che il sindaco di Gela, Lucio Greco, ha offerto ai suoi concittadini con un video registrato e postato su FB. Commiato virtuale, dunque, che tuttavia ha riservato i posti di prima fila a coloro che, ove si fosse svolto in un ambiente fisico, vi avrebbero partecipato. Il sindaco non ha potuto ascoltare il silenzio né il plauso, critiche e riprovazioni.

Non ha alcun motivo di rammaricarsi, la platea non era ben disposta. In più, siccome ai commiati politici si assiste quasi esclusivamente in Chiesa a fine vita, la platea ha acquisito il raro privilegio di parteciparvi “in vivenza”. 

Ho ascoltato e visto con interesse e curiosità, lo confesso con qualche pregiudizio a sfavore del rinunciatario. Cercherò di riassumere l’addio del sindaco, cominciando dalle motivazioni che gli hanno consigliato di non partecipare alla competizione elettorale prossima: l’assenza di dialogo, il comportamento rancoroso e livoroso degli avversari, la sfiducia delle forze politiche e della informazione, la mancanza di risorse umane e di mezzi economici per far fronte alle urgenze ed ai bisogni della comunità. Non manca proprio niente.

Lucio Greco ha però ricordato il suo impegno, “mai venuto meno nell’esclusivo interesse della città e mai per ottenere vantaggi personali”; ha elencato le buone pratiche (una lunga lista di cantieri aperti e finanziabili), e ha concluso auspicando che la sua eredità venga assunta in un contesto collaborativo fra le forze politiche e i parlamentari espressi dal territorio. 

La lavagna dei cattivi, di fatto, è rimasta vuota – troppo generiche le responsabilità addebitate al nemico -  ma ogni lingua ha il suo silenzio, come suggerisce un antico proverbio orientale. Il processo ai responsabili della siderale solitudine è rinviato? O la Caporetto, nefasta e maligna, nell’auspicio di Lucio Greco tiene dietro la gloria di Vittorio Veneto appena il contesto politico lo permetterà? 

Tutto s’impara, anche la virtù della prudenza. Non è saggio scendere in campo aperto contro un esercito di disistimatori così affollato, tenace e irredimibile. Lucio Greco si consegna, anima e core, agli insegnamenti del Vangelo di Luca, nel quale Gesù avverte che i guai arrivano quando gli uomini ricevono molte lodi. Se Gesù ha ragione, e non nutro alcun dubbio che ne abbia, il sindaco deve essersi sentito in una botte di ferro, consapevole che nemmeno con il lanternino avrebbe scoperto un estimatore. Se non fosse così non si sarebbe arreso e rinunciato a riproporre la candidatura. 

Deve essere stata una ricerca affannosa e drammatica, mai rassegnata se il sindaco ha gettato la spugna a ridosso della formazione delle liste, quando il quadro di riferimento dei competitor è stato definito e non restava che prendere atto della esclusione. Ha bussato a molte porte e non gli è stato aperto. Ma ha davvero così tanti peccati da scontare, sono così tanti gli errori commessi, le omissioni da farsi perdonare? 

Gli viene addebitato tanto, questo è indubbio, ma non basta per schierarsi dalla parte della pubblica accusa. Lucio Greco non è un guerriero di trincea né un cavaliere errante; non è nemmeno un fulmine di guerra, né un balbettante principiante. Ha navigato in acque perigliose e in un contesto politico dimesso, inerte, esangue, incapace di tracciare orizzonti. Non sottoscriverei un verdetto di condanna per non condividere le firme di larga parte dei detrattori. 

Perché l’hanno messo all’angolo? Credo che Lucio Greco abbia perduto i suoi protettori quando ha tradito le liste civiche che lo hanno eletto. Nelle competizioni politiche – nazionali e regionali – si è schierato con il centrodestra e entrato nell’agone elettorale a gamba tesa, abbandonando il civismo. Le dinamiche correntizie e i cacicchi all’interno degli schieramenti politici hanno fatto il resto. Ma l’accusa di tradimento è insostenibile, perché i traditi hanno sposato il civismo per incassare al botteghino del consenso elettorale il “bonus” della distanza dai partiti. Una falsità. 

É la mia, una analisi corretta? Non ci giurerei. Circolano tante voci a Gela, voci che arrivano anche a Palermo, dopo avere attraversato Caltanissetta senza dover pagare pegno. Esse rivelano che a mettere fuori gioco Lucio Greco non sia affatto la bocciatura come amministratore – quando mai i meriti ed i demeriti hanno condizionato le scelte dei politicanti? – ma il patto di ferro fra tre grandi elettori: Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e Mancuso. Sarebbero stati loro a trovare la quadra sul candidato giusto del centrodestra per Gela, sparigliando le formazioni politiche che lo compongono tradizionalmente. 

Al sindaco uscente, che conosce uomini e cose, non è rimasto perciò che alzare le mani e accomiatarsi. Con parole pacate, caute, perfino esitanti nel merito, perché alcuno non avesse a adontarsi e le porte, cui ha bussato invano, tornassero a aprirsi. Ha ragione Seneca: il destino indica la strada a chi lo segue di buona voglia e travolge chi si ribella. 

Se pensate, tuttavia, che Lucio Greco non abbia nulla a spartire con Seneca, avete pienamente ragione. Ma all’accostamento non rinuncio. All’albero caduto, non si addice l’accetta accetta verghiano, duro e irredimibile.