In questa "giornata delle mimose" c'è una donna di Gela che il mondo ammira e ci invidia per il suo coraggio, la sua forza, la sua umanità, il suo eroismo.
E' Monica Contrafatto, caporal maggiore dei bersaglieri, che il 24 marzo del 2012, in un attacco talebano, durante la missione di pace Onu in Afghanistan, rimase gravemente ferita alla gamba destra, poi amputata. Dieci le alte onorificenze nazionali e internazionali, militari e civili, che le sono state assegnate per quel tragico episodio in cui un suo più sfortunato collega perse la vita. Malgrado la mutilazione, Monica non si è mai arresa agli eventi avversi del destino.
Ha reagito con determinazione dedicandosi al lavoro (sempre nell'Esercito) e allo sport, all'atletica leggera, con particolare riguardo alla velocità, cimentandosi con successo nei 100 metri piani. E nell'arco di 8 anni (2016-2024) ha vinto con la maglia dell'Italia 3 medaglie d'argento e 5 di bronzo tra olimpiadi, mondiali ed europei paralimpici.
– Monica, se l'8 marzo è la festa della donna, per lei è anche la vivace vigilia del suo compleanno, impegnata, come immaginiamo in tante iniziative. Supponiamo che per il giorno delle mimose riceva inviti da tutte le parti per quello che lei è e per quello che rappresenta: donna, soldato, reduce di un fronte di guerra, atleta paralimpica, campionessa di velocità nei 100 metri piani. Con tutte queste prerogative cos'è per lei la festa mondiale della donna?
«Per me l'8 marzo è una festa come le altre. La donna non si onora un solo giorno all'anno, sono del parere che vada festeggiata sempre. Noi donne siamo considerate il sesso debole ma in realtà siamo più forti di quanto non immaginano. Io non faccio distinzioni di ruoli tra uomo e donna in famiglia, chiedo rispetto per entrambe le figure genitoriali».
– Con lo schieramento italiano tra le forze di pace dell'Onu in Afghanistan, a tutela della popolazione civile, lei è stata portatrice di un messaggio di concordia, di armonia, di civiltà. Come stava cambiando il mondo femminile con voi e come si è trasformato dopo la vostra partenza?
«Le donne afgane hanno la loro religione, i loro usi e costumi, la loro ragione di vita che fondamentalmente va rispettata. Non so se qualcosa stava cambiando allora o se è cambiata adesso. Sono processi sociali, cammini culturali lunghi e difficili; loro sono conservatori, stretti osservanti di usanze e tradizioni, un po' come noi siciliani».
– Ogni parte del corpo di una bella donna è oggetto dell'ammirazione maschile e non solo maschile. Le gambe lo sono per antonomasia. Vedersene amputata una è una tragedia intima, uno sconvolgimento del proprio equilibrio psico-fisico. Dopo l'intervento chirurgico ha temuto di non sentirsi più donna?
«Io dico sempre che l'aspetto fisico è l'impalcatura di una persona. La parte più bella e interessante è quella che sta dentro, nel cuore, nella mente, nell'anima, con i sentimenti, l'amore. Il resto non mi ha mai interessato più di tanto. In Italia l'aspetto fisico è omologato, perchè ormai le donne tendono ad apparire tutte uguali: stesse labbra, stesse sopracciglia, stesse in tutto.
Fondamentalmente mi reputo una graziata. Per quanto io abbia avuto un evento drammatico in realtà sono riuscita a farne la mia forza. L'aspetto fisico è relativo perchè se tu ti innamori di una persona ti innamori di quello che c'è dentro. Quindi bisogna superare ogni preconcetto. La bellezza delle cose sta nella diversità non nell'omologazione».
– E' stato lo Sport a restituirle la voglia di vivere?
«Sicuramente. Lo sport per me è rinascita, integrazione, maturazione emotiva. Senza di esso non so se sarei riuscita ad affrontare con grinta ciò che mi è successo. La competizione più che con gli altri è sempre con me stessa anche perchè lo sport che faccio, pur se dietro le quinte ci sono tante persone, mi mette in primis in autocompetizione per migliorarmi e capire, se ce ne sono, i miei limiti e gli ostacoli da superare».
– Che messaggio si sente di consegnare alle ragazze di oggi come se stesse passando loro il testimone di una staffetta inter-generazionale?
«Non abbattersi mai per nessuna cosa. Dopo ogni sconfitta c'è sempre una nuova rinascita. Io ed altre persone ne siamo l'esempio. C'è solo da rimboccarsi le maniche... E se cadi, rialzati! Ovviamente ognuno con i suoi tempi. E non guardare mai la disabilità altrui come un elemento a sfavore anzi considerala come un'arma vincente».
– Lei è per tutti una bandiera di coraggio, di impegno, di voglia di vivere. Rappresenta le donne, l'esercito, l'Italia, lo sport ma rappresenta anche il Sud, la sua Sicilia, lei ragazza di Gela. Ma la sua città l'ha mai ringraziata?
Monica sorride. «Devo essere sincera? Dopo la medaglia di bronzo conquistata nel 2016 ai giochi paralimpici di Rio de Janeiro l'allora sindaco, Messinese, mi volle a Gela per congratularsi e ringraziarmi. Poi, per gli altri miei vari successi, non si sono fatti più sentire. Ma non mi interessa molto. Le medaglie che vinco, le cose che faccio non le faccio per avere riconoscimenti.
A me le feste per fare solo baldoria non mi sono mai piaciute. Mi gratifica chi mi stima e se mi chiamano da testimonial per stimolare quanti vogliono fare sport io ci vado. Lo scorso anno, dopo la travagliata medaglia di bronzo ai giochi paralimpici di Parigi, Terenziano Di Stefano mi ha invitata nella nostra città ma non ci son potuta andare perchè ero a letto con la febbre. Tornerò a Gela in estate. Magari ci si vede in quei giorni».
– Quali sono i suoi prossimi impegni agonistici?
«Questo, per me è un periodo di riflessione. Gli anni passano per tutti e ritengo che sia arrivato il momento di abbandonare la velocità. Mi sto allenando per un'altra bella disciplina, il salto in lungo, dove penso di potere ottenere buoni risultati. Nel frattempo mi dedico anche all'equitazione che da sempre io amo moltissimo».
Da velocista a saltatrice, ad amazzone. Questa donna, questa bersagliera non la ferma niente e nessuno. E domenica, 9 Marzo, è il suo compleanno. Auguri!