L’Approfondimento/Il Consiglio con il cappio al collo

L’Approfondimento/Il Consiglio con il cappio al collo

La segretaria generale del comune viene invitata dal sindaco di Gela, Lucio Greco, a gestire il settore bilancio, perché non c’è più un dirigente responsabile e non si può assumerne un altro, in quanto l’ente è in gestione provvisoria.

Da facente funzioni di dirigente del settore, la dott.sa Loredana Patti segnala un paio di criticità che gravano sull’annualità 2022 del bilancio di previsione 2021-2023 approvato dal consiglio comunale, invitando lo stesso ad apporre i correttivi previsti dall’art. 193 Tuel, entro il 19 gennaio 2023. Il pacco regalo natalizio viene puntualmente consegnato sotto l’albero del civico consesso. Si chiude così l’anno fra polemiche a non finire, in cui si apre un consiglio comunale permanente e qualcuno arriva pure a minacciare di andare in procura. Si ascoltano dirigente ad interim, revisori, consulente, commissario ad acta.

Nella confusione, ciò che è evidente è che i consiglieri comunali non sanno dove mettere mano, anche perché ritengono che senza rendiconto consuntivo 2021 e bilancio di previsione 2022-2024, non hanno riferimenti contabili. Contestano la dirigente, la attaccano, accusandola di aver prodotto una segnalazione intempestiva, oltre che inopportuna, perché a margine di un’attività di verifica dei conti solo parziale e senza gli atti finanziari dovuti. Ma aspettano, di fatto, che la stessa dirigente suggerisca i correttivi.

La dirigente pro tempore, apertamente biasimata dai consiglieri comunali per essere andata in ferie, al ritorno dalle stesse elabora un proposta di correttivi con un sufficiente anticipo rispetto al termine perentorio che ricade in giovedì 19 gennaio. 

Il consiglio comunale deve però deliberare per legge sui correttivi proposti eventualmente dalla giunta, ma quest’ultima rigetta i correttivi della propria dirigente facente funzioni, allineandosi alla linea di pensiero dei consiglieri sulla intempestività della segnalazione in assenza di atti presupposti. Nel venirne a conoscenza, immediatamente 12 consiglieri chiedono alla presidenza del consiglio una seduta straordinaria per giovedì 19 settembre, mentre nelle more ricevono una proposta di deliberazione dall’amministrazione che di fatto ha disconosciuto la segnalazione che ha attivato l’iter.

Senza correttivi proposti dalla giunta, nella seduta straordinaria convocata, si chiedono pubblicamente le dimissioni da dirigente della dott.ssa Patti, specie alla luce della bocciatura della giunta, nonché le dimissioni del sindaco perché non può non conoscere lo stato di salute dell’ente. Messa in dubbio anche la fiducia verso i revisori. Alla fine si approva un atto di indirizzo, emendato dalla commissione bilancio, che diffida l’amministrazione attiva dell’ente, a mettere in condizione il consiglio comunale a provvedere, attraverso elementi utili. 

Ma ciò che rileva per legge, è che il consiglio comunale, pur autodeterminandosi, non ha prodotto le misure correttive fra quelle elencate dal secondo comma dell’art.193 Tuel, a margine di un gioco al massacro, nella forma dello scaricabile in cui nessuno vuole assumersi un minimo di responsabilità.

Inizialmente opposizioni contro maggioranza, sindaco contro le gestioni passate, per poi assistere a consiglieri ricompattati contro burocrati ed amministrazione allineata al civico consesso. Il rischio di un tranello per il consiglio comunale è serio. Se la segnalazione della dirigente ha messo un cappio al collo dei consiglieri, il rigetto dei correttivi della giunta non ha allentato quel cappio, semmai lo ha stretto ancor di più. 

La legge è chiara: la segnalazione ha attivato una procedura con un termine ben preciso, entro cui il consiglio doveva provvedere, “anche su proposta della giunta”, il che significa provvedere comunque, “anche senza una proposta della giunta”. La mancata approvazione dei correttivi equivale per legge ad una mancata approvazione del bilancio preventivo.

Il commissario ad acta dovrà diffidare il consiglio comunale a provvedere, dichiarandone lo scioglimento in caso di reticenza ulteriore. Lo dice la legge, unico criterio sulla base del quale, ovunque in una democrazia rappresentativa, si commisura la responsabilità politica di chi ricopre cariche elettive.