Elezioni/ Alle urne con il mal di pancia

Elezioni/ Alle urne con il mal di pancia

Le requisitorie e j’accuse a carico dei personaggi politici italiani di ogni coloro politico, elaborate e declinate con pedanteria con l’elenco dei peccati capitali, turpi condotte, vizi congeniti e nefandezze recenti, al fine di motivare la irreversibile decisione di non andare a votare, trovano nei social una calda accoglienza.

social sono come le botti di vino: inacidiscono il vino o ne fanno il nettare degli dei; sono l’alveo in cui scorre la coscienza collettiva, l’armatura che rende invincibili, il confessionale che accoglie “solo” i peccati altrui, il campo di battaglia di sfide memorabili.

E’ in questo luogo senza regole né freni inibitori che maturano le scelte irrazionali. Qui è appostata la schiera di coloro che hanno il suo cuore spezzato dalle malefatte pubbliche, e odiano le urne, ignorando il tacito ringraziamento dei consegnatari una delega a rappresentarli nel segreto della cabina elettorale. Un grazie virtuale per la fiducia. 

Agli elettori che espletano il loro dovere viene regalato il privilegio di votare per sé e tanti altri (è un calcolo percentuale), e la loro scelta “peserà” in misura esponenziale, a seconda del numero degli astenuti. E’ un potere di cui l’elettore puntiglioso talvolta non sa che farsene o lo sa fino a un certo punto. 

Le motivazioni dell’astenuto, oltre che corrive sono contraddittorie, si trasformano in un autentico boomerang: l’astensione regala consensi a quella parte verso cui l’astenuto rivolge i suoi strali. L’astenuto rafforza il nemico, rinsalda le sue posizioni e accresce le motivazioni del rifiuto di esprimere una scelta. Il rifiuto etico è la delega piena assegnata al votante ignoto. Forse è meglio sopportare i rimorsi di coscienza per avere sbagliato il partito o il candidato, ripassando tutte le nefandezze della indigeribile politica politicante, che una delega al buio.

Non è una questione politica, non solo. Fra gli elettori non votanti ci sono gli arrabbiati, gli inaciditi, quelli che “il mondo è fatto male e non voglio averci a che fare”: costoro sono inguaribili, si guardano attorno e compilano un diario di bordo giornaliero, una lista di cose che non vanno, di persone che non meritano, semmai meritano di stare nelle patrie galere, o di idioti promossi per meriti parentali o di comparaggio.

Rimuovono tutti i loro peccati, veniali o letali, senza nemmeno alzare le spalle, né prendere coscienza delle omissioni ed errori compiuti. Ogni sconfitta è stata provocata dall’ingiustizia, dalla malasorte, dall’ingordigia altrui, dal male che si nasconde ovunque e talvolta ha la faccia dell’amico, il congiunto, il vicino di casa. Per questa schiera di fautori della morale prêt-à-porter, militanti inesausti del mondo che non c’è, non andare a votare è solo uno sfregio contro il nemico, è come…servirsi del lanciafiamme per diserbare il giardino di casa. Presuppone una visione violenta del creato.

Che fare, allora? Turarsi il naso, suggeriva Indro Montanelli, altri tempi. Perorare la causa di una meditata analisi dei comportamenti di partiti e leadership, dei coscienziosi e dei malandrini, prima di recarsi alle urne, sarebbe come predicare in una chiesa vuota. Meglio suscitare un’attenzione militante su ciò che accade laddove si vota sotto stretta sorveglianza. Se mette i brividi sapere che ogni mattina la “velina” consegnata dagli apparati dello Stato addetti alla sicurezza, venga letta da uomini e donne di cui non ci fidiamo per niente, fa ribollire il sangue sapere che si guarda al giorno del voto senza la curiosità del risultato, perché i sondaggi rendono superflua l’urna, essendo tutto chiaro: chi vince, chi perde, e chi se ne sta a guardare.