Il potere dei cacicchi. Nel Pd, a Gela e altrove

Il potere dei cacicchi. Nel Pd, a Gela e altrove

Il potere dei cacicchi nel Partito Democratico si è tranquillamente accomodato in salotto.

Si è ramificato, fa rete e sembra deciderne le sorti. Ha messo radici così profonde da soffocare le piante nuove, impedire la crescita di qualsiasi nuovo germoglio che tenti di emergere. Il terreno è guasto, e ogni tentativo, anche il più timido, di cambiare le cose sprofonda nelle sabbie mobili di una fronda silenziosa e subdola. I cacicchi non hanno bisogno di mostrarsi, sorvegliano il perimetro, largo o ristretto che sia: regione, provincia, città, quartiere o condominio. 

Guardate quel che accade a Gela, dove i democratici da anni esistono senza esistere (dal latino ex-sisto, uscire). A pochi giorni dal voto per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale, una delle città più popolose e vivaci della Sicilia il Pd ha perso la voce. Non solo la voce, ma il diritto di esistere di fare la sua parte.

Per un lungo tratto di strada, alla vigilia del rinnovo del massimo consesso civico e del sindaco, non ha espresso candidature, né partecipato al dibattito elettorale. La volta scorsa ammainò le bandiere, rifugiandosi nelle liste civiche per non doversi misurare sul terreno. Ora, in zona Cesarini, come amano dire i calciofili, è entrato in partita dalla porta secondaria, ripetendo l’ammaina bandiera. 

Inspiegabile, perché l’esperienza fatta non è stata affatto coronata da successo, anzi. 

Il Pd non è esistito in consiglio comunale, perciò arriva all’appuntamento elettorale afono, senza voce e di soppiatto, quasi che dovesse scusarci di esserci ancora. Sosterrà il candidato sindaco fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, Terenziano Di Stefano, reduce di una esperienza di governo della città con il sindaco uscente, finita male per incompatibilità politica (il sindaco civico nelle competizioni elettorali politiche si è schierato con il centrodestra senza se e senza ma). 

Per quale recondita ragione, considerati i precedenti, il Pd torna al civismo? Il civismo ha il pregio di saltare a piè pari i fastidiosi confini politici, ideologici, forse anche esistenziali. E’ come alzare bandiera bianca senza darlo a vedere. In più regala la percezione che si voglia voltare pagina. Ammicca gli scontenti. Di sicuro c’è lo zampino dei cacicchi, maestri nel mestiere del nascondimento. 

Forse siamo troppo severi con il PD di Gela e con il Pd ovunque egli eserciti la sua missione. 

Si può legittimamente obiettare che i cacicchi abitano anche altri partiti, li fanno nascere e fiorire senza grosse difficoltà, seminano bene e razzolano mano un po' ovunque, a Gela e altrove. E’ una obiezione legittima.

Magari altrove è perfino peggio. Ma il Pd è un partito ha più responsabilità degli altri schieramenti, perché dice di tenere in vita la democrazia interna, la riconosce al punto da spogliarsi della prerogativa primaria, scegliere il suo vertice ai non iscritti. Ed è proprio questa diversità, tenere in piedi la democrazia, che rende il Pd responsabile di una diserzione delittuosa agli occhi di chi si sente vicino a questo schieramento politico. In più, il Pd porta il peso di rappresentare la sinistra, o quel che rimane della sinistra, in una comunità in cui la sinistra ha una storia importante, da qualunque parte la si giudichi. 

Avendo la fortuna di sapere poco o niente delle guerriglie paesane di questa vigilia elettorale, mai così astruse e così impenetrabili, posso ragionare sulla percezione che il travaglio politico gelese suscita a chi non vive la realtà della comunità locale, e non conosce retroscena, sgrammaticature, litigiosità, suprematismi, intrallazzi e comparaggi.

L’immagine del Pd di Gela, osservato da lontano, al netto del dettaglio, lascia basiti: non fa parte del gioco, pur…giocando. Un autorevole dirigente del PD, già deputato regionale del Pd, Miguel Donegani, candidato sindaco, ha svolto una intensa, ed a mio avviso interessante campagna elettorale, il cui core-business è una scuola politica nella quale si imparerebbe a fare politica decentemente con le competenze che servono. Roba da marziani in un terreno sorvegliato da pochi politicanti a tempo pieno.

Questa iniziativa è stata preceduta dalla nascita di un Movimento, chiamato “Progressisti e innovatori”, ed ha una sigla, PeR, che sicuramente diverrà un simbolo elettorale. Se il silenzio elettorale del Pd lascia interdetti, quello mantenuto finora sulla discesa in campo di un dirigente – all’insaputa del partito – appare una stranezza senza precedenti. Il Pd non decide e tace per mesi; non legittima né delegittima, consolidando la percezione di una assenza vistosa e disarmante, poi si sveglia dal torpore, e s’imbarca in una alleanza civica pilotata diligentemente dal M5S, il suo competitor più zelante e diligente. Donegani è un transfuga, che abbandona la casa madre, oppure un dirigente che colma un vuoto politico? 

Il candidato sindaco Donegani si è messo in proprio perché non ha trovato nel Pd di Gela un consenso formale, ma dubito che questo consenso sia stato formalmente richiesto o rifiutato. Sospetto che la materia del contendere sia stata oggetto piuttosto di conversazioni ed approcci. Tatticismo esasperato, furbastro, del tutto ininfluente, che sembra anelare all’estinzione.

Il buonsenso vorrebbe che questo il Pd fosse evocato da un medium carismatico per sollecitare almeno l’apparizione di una figura rappresentativa e consolatoria. Si arriverà alle urne con una lista del Movimento PeR in competizione con una lista “civica” di “alleanza”, con il sostanziale silenzio-assenso degli organi di partito. 

Domani è un altro giorno? Calati juncu, insomma? La crisi del Pd non può essere spiegata dalla sopravvivenza dei cacicchi locali, ovunque essi operino, per la semplice ragione che essa è nata insieme con il partito, quando si è concepita un’alleanza a freddo fra ex comunisti ed ex democristiani, nella quale sono pesate più le rinunce che ragioni del concepimento.

I cacicchi si sono innestati in questa dicotomia irrisolta ed hanno trovato un habitat fertile per svilupparsi e radicarsi, ed oggi la loro attività, tanto discreta quanto influente, permea le strutture del partito in modo tanto profondo da segnalarne ogni aspetto, da quello regionale fino al più piccolo nucleo urbano o residenziale.

I cacicchi del Partito Democratico rappresentano una forma di potere che, pur non necessitando di visibilità diretta, esercita un controllo capillare e silenzioso. Questa situazione ha creato un ambiente politico difficile, dove ogni tentativo di innovazione o di cambiamento rischia di sprofondare nelle sabbie mobili di una resistenza interna silenziosa ma ferrea.

La strategia di mantenimento del potere da parte dei cacicchi è semplice ma efficace: sorvegliare il perimetro di pertinenza. Non importa se il contesto sia ampio come una regione o ristretto come un condominio; il controllo è totale. L'incapacità di rinnovarsi e di adattarsi alle nuove sfide politiche e sociali del paese può erodere ulteriormente la fiducia degli elettori e degli attivisti, molti dei quali potrebbero sentirsi alienati da un partito che sembra più interessato a conservare il potere interno che a rispondere efficacemente alle esigenze dei cittadini.

Questa dinamica interna ha importanti ripercussioni non solo sulle politiche e sulle decisioni ma anche sulla percezione pubblica del partito stesso. Inquina il lavoro ben fatto, le scelte condivisibili, la rilevanza stessa di un partito che accetti la democrazia al suo interno.

Il leaderismo prevale a spese della democrazia. L’ammaina bandiera del Pd non è un danno solo per i suoi militanti ma uno svantaggio per il Paese. E’ improbabile che le vicende di Gela abbiano raggiunto gli organismi di vertice del partito. Forse sono irrilevanti, perché comuni. Forse non ne sanno niente, né a Roma né a Palermo, chissà!

Ciò che è accaduto di recente a Bari e a Torino, dove sono in corso inchieste della magistratura su casi di corruzione elettorale, dimostra che il potere dei cacicchi locali non è stato eroso, anzi appare per certi versi inattaccabile anche da parte di una segreteria politica intenzionata ad opporvisi. 

In conclusione, il Partito Democratico, a Gela e altrove, si trova di fronte a una sfida cruciale: riuscire a liberarsi dall'influenza soffocante dei cacicchi e promuovere un vero spirito di rinnovamento interno. Solo attraverso un processo di trasformazione radicale e di apertura a nuove idee e nuovi protagonisti sarà possibile recuperare vitalità e rilevanza nel panorama politico attuale.

La strada è difficile e irta di ostacoli, ma è l'unica percorribile se si desidera realmente rispondere alle urgenze e alle aspettative di un elettorato sempre più esigente e informato.