L’infantilizzazione del consenso elettorale gelese

L’infantilizzazione del consenso elettorale gelese

La campagna di cattura del consenso locale è iniziata.

I giochi sulle liste e candidati sindaci sono in gran parte definiti. Li chiamo “giochi” elettorali ma in realtà sono algoritmi strategici basati sulla percettività dell’elettorato e sul peso dei rapporti di forza interni alle aggregazioni politiche. 

Accorpamenti, i più vari, in un quadro in cui Destra-Centro e Centro-Sinistra si sfidano come un tempo le religioni occidentali e orientali si sfidavano per la conquista di Gerusalemme. 

Cosa accomuna tutti gli schieramenti al di là della lotta politica ed amministrativa? C’è forse un carattere invariabile e riscontrabile trasversalmente agli schieramenti politici di Destra conservatrice e di Centro-Sinistra progressista, compresi gli aggregati con componente prevalentemente civica? 

A Gela sì. Esistono componenti trasversali che accomunano tutti, ma non a tutti sono visibili. Non sono visibili con facilità perché c’è un consolidato borghese che ci ha condizionato da tempo nel vedere la politica come un mercato di risposta ai bisogni. E poiché la borghesia cittadina è consumatrice spasmodica di risposte ai bisogni (spesso al superfluo) la politica trasversale si esprime, tutta, proponendo “prodotti e servizi”. Una grande vetrina in cui scegliere il prodotto più confacente, l’opportunità più allettante. 

E quindi giù con il catalogo di investimenti: rimettere a nuovo i centri polisportivi inabilitati dal degrado, proporre piste ciclabili aggiuntive, rifare l’area dell’Orto Pasqualello come se fossero i Giardini del Quirinale, prospettare la finalizzazione della infrastruttura Portuale gelese per competere con gli altri porti civili e mercantili, risanare le scuole dell’obbligo primarie, risistemare strade interne e rotonde spartitraffico, riqualificare la zona di Montelungo più volte strutturata e più volte vandalizzata, ripotenziare la sanità pubblica locale, istituire una struttura universitaria decentrata, … 

Un catalogo ben ampio di prodotti e servizi elettorali il cui comune denominatore è la spesa per capitale, quello che si indica amministrativamente come “budget di investimento”. 

E poiché gli investimenti richiedono budget di esercizio per il loro mantenimento, l’effetto indotto è il conseguente degrado quando non interviene tempestivamente la vandalizzazione. Un circolo vizioso ben collaudato nella nostra città. 

Tutti gli aggregati elettorali hanno questo in comune: proporre una città basata su budget di investimento. Senza ipotizzare che ogni investimento richiede un budget di esercizio. Per un elettorato borghese consumista. 

Nessuno, ma proprio nessuno prospetta un’altra visione di città: una città basata su budget di esercizio, una città accudita. Significa manutenzione, cura, mantenimento, assistenza riparativa e supervisione della fruibilità.

Una città che, non disdegnando le infrastrutturazioni ad investimento (peraltro dipendenti da fattori tutti esterni alla città), concentri energie e politiche sulla cura e la fruibilità di quel che ha e quindi sui budget di esercizio. Ma questo tema ne trascina un altro.

Siamo una città che raccoglie poco più del 50% dei tributi nell’assoluta noncuranza della politica elettoralistica, che si guarda bene dal trattare temi che possano suonare come rimprovero alla cittadinanza, anch’essa responsabile della condizione in cui tutti viviamo. Una politica elettoralistica che omette di informare che i debiti della municipalità sono in gran parte di patrimonializzazione per le spericolate ed errate gestioni di edilizia privata su suoli pubblici, mai risolti. 

Ecco l’ottica elettoralistica: trattare tutti da infantili acquirenti di beni e servizi, assolvendo la cittadinanza da ogni obbligo sociale e da ogni responsabilità collettiva. I messaggi elettorali non devono infastidire l’elettorato o farlo sentire in colpa, ma solo solleticare i suoi bisogni reali o indotti come fosse un acquirente. 

E quindi stare ben lontani da temi divisivi come la gran massa di lavoro nero che compone l’economia locale e che induce al calo demografico giovanile perché non prospetta certezze e sostenibilità economica. O come temi di spericolata concessione edilizia che sta sottoponendo la zona di Caposoprano ad un “sacco edilizio” rinnovato e continuativo. E poi ci stupiamo della impossibilità di parcheggi e dell’aumento del traffico gommato e del conseguente inquinamento da emissioni. 

Una visione di “città degli investimenti” e non una “città della cura e del mantenimento”. 

Ecco quindi che la comunicazione elettorale e i programmi politici decantati, ma mai debitamente strutturati e comunicati, accomunano tutti gli schieramenti in una complessiva infantilizzazione del messaggio, ove occorre solo scegliere da dietro una vetrina, senza entrare nel merito dei conflitti che invece pervadono la società cittadina e che richiederebbero posizionamenti sociali ben chiari.

Una vera infantilizzazione, che poi approda ad un voto di pura e semplice relazione rispetto a candidati affiliati o con cui si intrattengono rapporti di interesse e conoscenza. Ben diverso da un voto di opinione che si posizioni socialmente rispetto ai conflitti socio-ambientali interni alla città. 

Un rituale che si ripete e che non trova una via di uscita perché nessuno schieramento addita aree di società cittadina, perché significa alienarsi consensi potenziali. Ma fare ciò significa infantilizzare il messaggio politico ed elettorale. Ed è quello che avviene e che trova l’acme nelle settimane prima del voto. Tutti bambini gli elettori, perché i bambini sono quelli che, tramite i bisogni, possono essere catturati ed allettati. 

Ecco perché il segnale del tracollo elettoralistico è l’assenteismo. Una fuga dal voto che raggiunge il 46% dei potenziali elettori e che crescerà fino a superare la fatidica soglia del 50%, sfidando la solidità democratica della rappresentanza politica. In quell’area mostruosa di assenteisti non ci sta solo chi rinuncia alla rappresentanza per apatia, ma di certo c’è anche una gran massa di elettori che non si sentono di accettare di essere trattati da infanti bisognosi di gingilli colorati, già predisposti al loro degrado.