Armarcord, rassegna editoriale dei Carabinieri in congedo

Armarcord, rassegna editoriale dei Carabinieri in congedo

Pubblicata la seconda edizione del libro "Armacord - La nostra Arma", una raccolta di racconti di 32 carabinieri in congedo, di ogni parte d'Italia, ideata e realizzata dal luogotenente Giovanni Govoni, 75 anni, di Genova, con l'obiettivo di "riunire in un volume il resoconto di varie esperienze di vita vissuta nell'Arma". 

Un lavoro collettivo di grande interesse, raccolto in 250 pagine, che già nel primo numero ha ottenuto un notevole successo di critica e di diffusione, pur trattandosi di libri fuori commercio nel settore dell'editoria italiana, diffusi dagli stessi autori tra amici e conoscenti.

Tra i narratori, protagonisti di entrambe le edizioni, c'è il luogotenente Domenico Resciniti, di 71 anni, di Roscigno (SA), gelese di adozione avendo scelto di vivere con la propria famiglia a Gela, dove per 30 anni ha svolto la sua attività professionale che lo ha portato a guidare, con alti meriti, pubblicamente riconosciuti, la stazione dei carabinieri.

Il maresciallo Resciniti questa volta racconta quattro episodi di particolare drammaticità, che hanno colpito profondamente l'opinione pubblica e lasciato segni inguaribili nella coscienza collettiva. Ricorda l'episodio di quella "giovane madre che annega i suoi due figli autistici e tenta il suicidio", scrive di un "Cold Case" risolto dopo 30 anni, narra come si può "rischiare la morte per fame nel terzo millennio" e ci racconta di una ragazza "suicida a 13 anni".

La madre che annega i suoi due figli autistici è un episodio che quasi tutti a Gela ricordano ancora. Per non vederli soffrire, in preda a disperazione e sconforto, questa donna ha portato i bambini nel mare di manfria, li ha annegati e poi ha tentato di morire anche lei senza riuscirci. Tornata sulla spiaggia, ha telefonato ai carabinieri. Al maresciallo Resciniti ha raccontato, disperata, il suo dramma, la tragedia della sua famiglia. Uno dei piccini fu recuperato subito, l'altro fu restituito dal mare l'indomani a Falconara. La donna, processata, fu assolta perchè al momento dell'insano gesto è stata considerata incapace di intendere e di volere.

Il "Cold Case" (un caso di 30 anni prima) riguarda la scomparsa di una donna, Rosaria P., che il marito, Vincenzo S., diceva fosse fuggita con un amante facendo sparire ogni traccia di sé. Si stava procedendo alla dichiarazione della morte presunta quando il luogotenente Resciniti, controllando il fascicolo, si ricordò di avere letto tra le  varie dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia che invece era stato il marito a uccidere la moglie e ad averne occultato il cadavere. Autorizzato, dal procuratore Lucia Lotti, a riaprire le indagini, l'astuto sottufficiale è riuscito a ottenere dai parenti testimonianze importanti che hanno permesso di accertare la verità dei fatti.

"La donna scomparsa aveva scoperto che il marito la tradiva con una cugina di lei. L'aveva capito vedendo che la parente portava alla mano sinistra lo stesso anello che lei, spazzolando la giacca del marito, aveva rinvenuto il giorno prima, tacendo. E quando Rosaria contestò al marito la sua infedeltà, di lei non si ebbero più notizie mentre Vincenzo S. andò a vivere con l'amante". Grazie all'indagine di Resciniti, l'assassino è stato condannato all'ergastolo. 

Il terzo caso ("Rischiare la morte per fame nel terzo millennio") riguarda la scoperta, nel 2015, dello stato di assoluta indigenza in cui viveva una famiglia di 9 persone, sei delle quali disabili (tre maggiorenni e tre minorenni) nel rione "Fondo Iozza". Indescrivibili le pessime condizioni igieniche di quell'alloggio popolare, invaso da lerciume. La vita di quella gente è cambiata dopo l'intervento dei carabinieri e i provvedimenti della magistratura.

L'ultimo racconto del Luogotenente Resciniti riguarda l'assurdo, inaccettabile suicidio di una ragazzina di 13 anni, Giulia F., lo strazio dei genitori, la commozione di questo sottufficiale avvezzo a tanti fatti cruenti, che in obitorio, dopo l'ispezione cadaverica, non riesce a negare ai genitori un'ultima carezza a quel corpicino innocente prima della chiusura della bara, "consapevole che la mia trasgressione – scrive – era dettata unicamente da senso paterno e da profonda pietà".