I Moscato, storia di tre generazioni legate dalla passione per la musica

I Moscato, storia di tre generazioni legate dalla passione per la musica

Quella che vi raccontiamo è una storia di quelle che fanno bene all’animo e che dilettano specialmente gli amanti sette note.

E’ la storia di una famiglia, con tre generazioni – padre, figlio e nipoti – legate dalla passione per la musica. Parliamo di Grazio Moscato, che tutti conoscono come Orazio “spasciamaronna”, del figlio Dario e dei suoi due nipoti Grazio junior e Giulio. Quattro persone, tre batteristi ed un già promettente chitarrista.

Tutto comincia quasi sessant’anni fa. Orazio, all’epoca 12/13enne, scopre di essere attratto dal ritmo, come capita geneticamente alle popolazioni cubane, brasiliane, sudamericane in genere. 

«Aiutavo mio padre Rocco – racconta Orazio, oggi 73enne – come garzone nella panetteria di famiglia, in via Mazzini. Su di un tavolo tenevamo la tipica bilancia con i piatti di rame che si utilizzava per la pesatura della farina e dell’impasto per il pane. Mi incuriosì. Sono andato in una vicina falegnameria e mi sono fatto fare all’insaputa di mio padre, delle bacchette rudimentali. Quella – bacchette e piatti di rame della bilancia –fu la mia prima batteria. Mio padre non ne voleva sapere. Fu perentorio: O la scuola o il lavoro. Scelsi il lavoro, e la musica, naturalmente. Appena più grandicello, arrivò la mia prima vera batteria. Avevo tra i 12 e i 13 anni».

Orazio ricorda le prime esercitazioni in gruppo. «Fu Rosario Pepe, detto “Celentano”, cui piaceva cantare, a indirizzarmi verso chi aveva già formato un complesso. Si chiamavano i Crickets, all’epoca formato dal chitarrista solista Andrea Siracusa; da Gaetano Fasciana al basso (poi alla chitarra ritmica); da Enzo Runza alla chitarra ritmica (poi sostituito da Fasciana, che lascerà il basso a Egidio Alma; da Egisto Artale (voce solista). A questi mi aggiunsi io alla batteria, ruolo che – avendo fatto altre scelte – lasciai a Nino Santagati. Sono stato anche il primo batterista dei Topolini, un gruppo formato in parte da bambini, cresciuti musicalmente in ambito familiare. Tra questi, Pino Mallo, nipote di Digeronimo, e Graziella Cacciatore, figlia di Ciccio Cacciatore, tastierista di vecchia generazione».

Ad un certo punto, fui notato da Nannino Digeronimo, maestro per tanti giovani aspiranti musicisti dell’epoca. Suonai con lui, poi con Emilio Cassaro e Michele D’Aleo, l’uno e l’altro reduci dall’esperienza con i Blackmen, completati da Lino Di Paola alla batteria e da Rocco Cerro (chitarra ritmica, oggi direttore di questo giornale). Insomma, Digeronimo mi volle con sé. Facevamo matrimoni e veglioni. Ho suonato alla Conchiglia dei tempi d’oro, al Lido Eden, all’Hotel Mediterraneo, all’Hotel Sole, all’American Bar, alla Sala Parioli, ma anche – come si diceva in gergo – “a parti i casa”, ovunque ci fosse da suonare e da guadagnare qualche migliaio di lire per il cinema o la pizza».

Altre esperienze? «Tante altre. Ricordo il periodo in cui assieme al già citato chitarrista Emilio Cassaro, al sassofonista Sergio Petta, al bassista Totò Ruvio, al cantante Daniele Scollo si formò la “Prinetti & Stucchi”. Eravamo già dei provetti musicisti, ancora sorretti da una forte passione per la musica. Da lì in avanti, però, più tempo al lavoro e alla famiglia, un po’ meno alla musica. Insomma, eravamo cresciuti e ci rendemmo conto che dovevamo cominciare ad assumerci la responsabilità di metter su famiglia. 

La gioventù per Orazio non è stata comunque tutta batteria e panificio.

«Lasciai la bottega di mio padre e mi sono messo a fare l’imbianchino, poi il servizio militare in Marina. Per una settimana ebbi l’onore di guidare la macchina del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, prima dell’imboscata terroristica di via Fani in cui venne rapito e poi ucciso. Quando seppi della sua tragica, fine ne rimasi molto addolorato».

E poi il rientro definitivo a Gela. «Si. Ma anche un lavoro vero, all’ospedale, sempre come autista, il matrimonio con la mia Maria, una gran donna che ha condiviso con me quasi tutta la mia vita, e i miei figli, ai quali ci siamo dedicati trasmettendo loro i buoni principi».

Attaccati al chiodo piatti, rullante, tom tom e cassa, Orazio si dedica all’educazione musicale del figlio Dario, 39enne, e dei nipoti Orazio junior, 14 anni, e Giulio, il più piccolo della nidiata Moscato, di soli 10 anni. Dario, anche lui impiegato in ospedale, suona la batteria, così anche il figlio, Orazio junior. L’unico che ha “tradito” – si fa per dire – la tradizione dei batteristi in casa Moscato, è stato Giulio, secondogenito di Dario, che studia chitarra dal maestro ragusano Orazio Fontes, ma che non disdegna di mettersi alla batteria, con due cuscini sullo sgabello, non appena il fratello Orazio gli lascia campo libero.

Orazio senior non fa graduatorie di merito sulla bravura di figlio e nipoti. Si troverebbe a disagio. Ma due parole per ognuno le vuole spendere. «Di Dario – dice – apprezzo la padronanza dello strumento che dimostra di possedere; di mio nipote Orazio rimango colpito dall’essenzialità del suo modo di suonare, da come “spacca” la battuta sul rullante; del piccolo Giulio mi piace la versatilità. Alla chitarra, oltre alla passione, mette tutta la voglia di diventare un provetto chitarrista. Gli piacciono le improvvisazioni. Insomma, promette bene».

Dopo tutti questi anni, la musica continua a regnare in casa Moscato. Nella loro dignitosa dimora estiva di Rozzazzelle/Manfria, realizzata con i sacrifici di una vita, periodicamente vengono invitati musicisti vecchi amici di Orazio. Capita di incontrare Rocco Mammano, Filippo Solito, Pippo Leonardi, Santo Figura, Rocco Tandurella, Nuccio Muccini, Nuccio Caruso, Peppe Fazio, i fratelli Totò e Pino la Cognata, ed altri. Una sera è capitato pure il famoso cabarettista Giovanni Cacioppo, gelese doc, che si è esibito alla batteria.

Una gran bella famiglia, una piccola comunità destinata a diventare una dinastia di musicisti che si alternano agli strumenti, una platea di familiari che si contendono il microfono, attorno ad una tavolata di pizze alla siciliana, confezionate magistralmente dalla signora Maria col marchio Moscato, per omaggiare gli ospiti, che gradiscono tanto, al punto da far venire il dubbio se sono lì per le pizze o per cantare e suonare.