Arrestato presunto autore dell’uccisione del niscemese Vacirca avvenuta nel 1983

Arrestato presunto autore dell’uccisione del niscemese Vacirca avvenuta nel 1983

Giovedì mattina i poliziotti della Squadra Mobile – Sezione Criminalità Organizzata – diretta dal vice questore aggiunto d.ssa Marzia Giustolisi, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa in data 05.03.2018 dal Gip del il Tribunale di Caltanissetta (dr. Marcello Testaquatra) su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, a carico di Domenico Vaccaro (a sinistra nella foto), nato a Campofranco, cl.1954, indagato per l’omicidio di Vincenzo Vacirca (a destra nella foto), niscemese all’epoca 42enne, avvenuto a Niscemi giorno 8.11.1983.

L’operazione di polizia giudiziaria costituisce un importantissimo colpo inferto alla consorteria mafiosa della provincia di Caltanissetta, dal momento che il Vaccaro, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campofranco, è strettamente legato al noto mafioso Giuseppe Madonia, inteso Piddu, nonché uomo di fiducia del boss palermitano Bernardo Provenzano, che annotava il nome di Mimì Vaccaro nei suoi “pizzini” rinvenuti nel suo covo al momento del suo arresto. Dopo l’arresto del Alessandro Barberi, uomo d’onore della famiglia mafiosa di cosa nostra di Gela, gruppo Rinzivillo, avvenuto nel gennaio del 2014 sempre ad opera della Squadra Mobile di Caltanissetta, nell’ambito dell’Operazione di polizia denominata “Fenice”, il Vaccaro aveva ereditato lo scettro, divenendo il responsabile provinciale per cosa nostra della provincia di Caltanissetta.

Le complesse indagini della Sco consentivano di ricostruire questo efferato delitto, commesso nei sanguinosi anni della guerra di mafia che imperversava, negli anni ’80, nella provincia nissena, in seguito ad una forte contrapposizione interna alla consorteria criminale “cosa nostra” che vedeva alcuni componenti del clan tendere ad avere il predominio criminale su altri. In tale contesto scaturiva l’omicidio di Vincenzo Vacirca, assassinato, in Niscemi, nel novembre del 1983. L'indagine ha costituito, ancora una volta, il frutto di un metodo peculiare di raccolta ed incrocio di dati, volto alla individuazione degli autori di fatti omicidiari risalenti nel tempo, i cosìddetti "cold case". La particolare efficacia di questo metodo investigativo consente di ripercorrere la carriera criminale di personaggi dell'organizzazione che, come nel caso in esame, hanno svolto, negli anni, il loro ruolo, via via di maggior rilievo, nella struttura criminale, realizzando efferati omicidi che, senza "la ricerca indefessa del riscontro", rimarrebbero dimenticati e senza risposta, con grave ed irrimediabile pregiudizio per il sistema giustizia nel suo complesso.

L’attenta analisi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Salvatore Riggio (uomo d’onore della famiglia di Riesi), Ciro Vara (uomo d’onore della famiglia di Vallelunga Pratameno, nonché vice rappresentante provinciale di cosa nostra nissena), Antonino Pitrolo (uomo d’onore della famiglia di Niscemi), nonché del dichiarante Giancarlo Giugno (uomo d’onore della famiglia di Niscemi), corroborata dalla meticolosa ricerca di riscontri oggettivi, ma anche individualizzanti, alle propalazioni raccolte, permetteva di individuare i mandanti e gli esecutori materiali del delitto di mafia in argomento. Si ricostruivano così le fasi deliberatorie, preparatorie ed esecutive dell’omicidio, scaturito dopo l’uccisione del capofamiglia di Niscemi, Salvatore Arcerito, inteso “u lumiaru” nato a Niscemi il giorno 24 gennaio 1920, assassinato a Niscemi il giorno 30 aprile 1983 - che gli altri referenti della famiglia mafiosa di Niscemi addebitavano a Giuseppe Vacirca, fratello di Vincenzo.

Chiesta l’autorizzazione all’allora rappresentante provinciale di cosa nostra, “Piddu”Madonia, la famiglia di Niscemi preparava così la sua vendetta, sancendo il mandato di morte di Giuseppe Vacirca. Quest’ultimo, a quel tempo, era latitante per la giustizia ma anche irrintracciabile per i killers e, perciò, la cupola di cosa nostra nissena decise di punirlo con l’uccisione del fratello Vincenzo Vacirca. Furono impiegati – come spesso accadeva nella guerra di mafia di quegli anni – killers di altri centri limitrofi, in specie Domenico Vaccaro di Campofranco e Antonino Bevilacqua di Gela, quest’ultimo successivamente assassinato.

Sulla responsabilità del Vaccaro appaiono univoche e convergenti le dichiarazioni dei sopra citati collaboratori di giustizia; inoltre l’analisi degli atti redatti all’epoca dei fatti, con particolare riferimento alle informazioni fornite da testimoni oculari, alla luce delle complessive dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, forniva una chiave di lettura completamente difforme da quella che era stata la ricostruzione operata all’epoca dei fatti. Il mandato di morte ai danni di Giuseppe Vacirca si concretizzava qualche anno più tardi: egli, infatti, veniva ucciso nell’agosto del 1990; anche i mandanti e gli esecutori di questo omicidio sono stati assicurati alla giustizia nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Revenge”, condotta dalla Squadra Mobile nissena.


Quest’ultima operazione si va ad aggiungere alle altre numerose di polizia denominate convenzionalmente: “parabellum”, “rewind”, “crimensilentii”, “finis terrae”, “ninetta”, “colpo su colpo”, “San Valentino-Revenge”, che hanno consentito di arrestare numerosi sodali affiliati a cosa nostra ed alla stidda non solo di Niscemi, ma anche dei comuni limitrofi, nell’ambito di una complessa attività investigativa rivolta alla ricostruzione della verità storica del contesto criminale in cui sono stati consumati vecchi omicidi di mafia.
(fonte: Questura di Caltanissetta)