Pubblicato da Rizzoli il romanzo giovanile inedito dell’autore di “Horcynus Orca” “Il compratore di anime morte”

Pubblicato da Rizzoli il romanzo giovanile inedito dell’autore di “Horcynus Orca” “Il compratore di anime morte”

L’evento letterario italiano più importante di questo inizio d’anno è sicuramente la pubblicazione postuma di un romanzo giovanile finora inedito dello scrittore siciliano Stefano D’Arrigo (1919-1992), autore di “Horcynus Orca” (1975), uno dei vertici della narrativa del XX secolo.

Uscito per i tipi Rizzoli il 31 gennaio scorso a cura di Siriana Sgavicchia, che ha anche firmato l’ampio e prezioso saggio “Una trama d’autore” stampato in coda al volume, “Il compratore di anime morte” risale alla seconda metà degli anni Quaranta del secolo scorso e probabilmente costituiva per il non ancora trentenne D’Arrigo una sorta di soggetto cinematografico sotto forma di romanzo breve da proporre a Luchino Visconti come adattamento per il grande schermo delle “Anime morte” (1842), il capolavoro dello scrittore russo-ucraino Nikolaj Gogol’. 

Il dattiloscritto, una bella copia senza altro materiale preparatorio che presenta solo lievi ritocchi a mano da parte dell’autore (protrattisi fino al 1976, quando D’Arrigo, prima di abbandonarlo del tutto, pensò addirittura di consegnarlo al suo amico Andrea Camilleri, che tuttavia pare non l’abbia mai ricevuto), è stato a disposizione degli studiosi sin dal 2007, allorché la moglie Jutta Bruto lo donò all’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux di Firenze. Una prima analisi del testo è stata proposta dall’italianista Daria Biagi nel saggio «Su un’inedita “libera riduzione” di Stefano D’Arrigo: “Il compratore di anime morte”», uscito su “Critica del testo”, XVIII/1, 2015, pp. 9-30, poi rielaborato come secondo capitolo del volume della stessa Biagi “Orche e altri relitti. Sulle forme del romanzo in Stefano D’Arrigo” (Quodlibet, 2017) con il titolo «Una riscrittura gogoliana: “Il compratore di anime morte”» (pp. 65-92).

Quest’opera è di straordinario interesse per la cultura italiana (oltre che siciliana) sotto diversi punti di vista. Innanzi tutto, essa cambia la percezione, condivisa fino ad oggi degli studiosi, dell’evoluzione del D’Arrigo romanziere, perché fino alla sua riscoperta non si conoscevano prove narrative di rilievo precedenti il vasto materiale prodotto a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta che culminerà nell’opera “monstrum” sull’Orca (D’Arrigo, com’è noto, pubblicherà poi solo un altro romanzo nel 1985, il misterioso “Cima delle nobildonne”, di dimensioni paragonabili a quelle del “Compratore”).

 

In secondo luogo, essa rivela un D’Arrigo gogoliano dalla grande verve epico-comica e satirica, che da giovane, nella nuova Italia dell’immediato secondo dopoguerra uscita dalla lotta partigiana e alle prese con la questione meridionale, guarda al fatiscente regno borbonico delle Due Sicilie da un lato come alla Russia dei servi della gleba della prima metà dell’Ottocento e dall’altro come all’Impero fascista di cartapesta appena crollato, con i gerarchi che banchettavano alle spalle delle masse tenute nella miseria e nell’ignoranza. In futuro, la verve epico-comica la ritroveremo “sdillabaviata” e “sdillabbrata” nei “quadri” di Caitanello, il padre di ’Ndrja Cambrìa. In terzo luogo, il lettore con l’“oreocchio della memoria” allenato sulle pagine di “Horcynus Orca” rimane sbigottito dalla presenza, in quest’opera giovanile, di forme espressive e termini che poi si ritroveranno ossessivamente nel romanzo maggiore, a prova del fatto che il suo peculiare impasto linguistico di italiano e siciliano ha origini ben più antiche di quanto si sospettasse: “laddietro”, “lassotto”, “laddentro”, “avantindietro”, “improsatura”, ecc.

L’azione de “Il compratore di anime morte” si svolge tra il 24 dicembre 1859 e l’arrivo di Garibaldi alle porte di Palermo (fine maggio 1860). Il protagonista, Cirillo Docore, novello Čičikov, è un trovatello trentenne dell’ospizio napoletano dei Figli della Madonna della Nunziata, che pateticamente aspira ancora ad essere adottato e lavora come scrivano all’Istituto della Real Beneficenza. È un uomo retto e casto, che resiste agli assalti sessuali di una focosa vedova proprietaria di una friggitoria all’aperto, donna Margherita, ed è consumato dal desiderio ancora inappagato di una famiglia purchessia.

Un giorno, mentre è intento al suo lavoro, Cirillo scopre per caso una falla nel sistema fiscale e legale borbonico e così comincia a sognare di arricchirsi vendendo al governo i nomi dei contadini defunti non ancora censiti, dopo averli comprati come “anime morte” a costo zero o comunque a bassissimo prezzo (dovrà pagare in ogni caso le tasse pro capite al posto del vecchio proprietario terriero). La sua vita prende una svolta quando il principe don Ettorino Alonso di Margellina, soprannominato Principe Dellotto per la sua passione per il gioco, lo adotta per ottenere numeri fortunati da Cirillo, ritenuto portafortuna dal sentire popolare proprio per il fatto di essere un trovatello,“e perciò è fortunatissimo, perché la Madonna rispetta i suoi figli, li protegge, ha un occhio di riguardo essendo stati, diciamo così, sfortunati nella nascita e allora a loro non gli dà i numeri falsi ma quelli buoni, è una cosa che sanno tutti” (p. 16). Cirillo, accettando il gioco, ottiene un titolo nobiliare che gli consente di iniziare il suo strano affare delle “anime morte”.

Così inizia il viaggio in carrozza di Cirillo-Čičikov, ora Principe di Margellina, attraverso la Sicilia, e nel palermitano in particolare, dove la morte prematura dei poveri è frequentissima a causa delle cattive condizioni economico-sanitarie e dell’indifferenza dei proprietari terrieri, che quasi sempre cedono volentieri al “minchione” Cirillo i nomi dei loro contadini defunti dopo l’ultimo censimento e sui quali dovranno pagare le tasse fino al censimento successivo.

Nel suo viaggio, accompagnato dal fedele cocchiere Filomeno (un vero e proprio Sancio Panza che si incaricherà di fare le scelte giuste al suo Don Chisciotte, soprattutto matrimoniali), Cirillo incontra una varietà di personaggi, tutti accomunati dall’egoismo gretto della decadenza e dall’indifferenza nei confronti delle condizioni miserrime della povera gente umiliata e offesa. Per fare un esempio emblematico, il Capo dei Compagni d’Arme contribuisce a una cena per soli maschi nobili, con tanto di corredo di giovani contadinelle ridotte a prostitute, “col pesce che aveva fatto requisire dai suoi poliziotti alla Vucceria quella mattina” (p. 69).

Tuttavia, Cirillo stesso è cieco ai cambiamenti che nel frattempo si verificano in Sicilia, dove le rivolte dei sostenitori di Garibaldi, i giacobini “riscaldati”, stanno prendendo piede. Egli è troppo preso dai suoi affari per accorgersi di tutto questo, nonostante assista ad incendi di uffici e di carte bollate. La sua aspirazione all’ascesa sociale, in particolare il matrimonio con la figlia del Viceré, lo rende oggetto dell’ostilità delle donne di corte. Un’accusa infondata, innescata dalla vedova gretta e avida Lissandra e fomentata dal losco e baro barone Mazzù, lo porta alla reclusione nella prigione della Vicaria, dove si ritrova con numerosi detenuti politici filogaribaldini che lo considerano erroneamente un loro alleato.

Con l’arrivo dei garibaldini in Sicilia, Cirillo, che rapidamente aderisce alla loro causa, combatte per la “libertà” insieme a Rosalia Traina, una contadina che aveva acquistato viva per errore (essendo una fuggiasca poi tornata a casa insieme ai quattro fratellini e al nonno), vestendo la camicia rossa simbolo dei rivoluzionari.

La narrazione segue la struttura tipica del romanzo picaresco, con Cirillo che attraversa varie situazioni e personaggi. D’Arrigo, poi, ricalca abbastanza fedelmente le “Anime morte” di Gogol, adattando situazioni e personaggi alla realtà siciliana, al punto che quasi ogni personaggio trova il suo corrispettivo nel romanzo russo. Questa fedeltà al testo originale si estende a certe scene, come il ballo, e a digressioni su temi come il contrasto tra persone grasse (nobili dediti ai giochi da tavolo) e magre (ufficialetti donnaioli), giusta la teoria di Cirillo “confermata dalla realtà” (p. 62).

Tuttavia, D’Arrigo introduce elementi nuovi, come la famiglia Traina e in particolare Rosalia, irresistibilmente attratta dal suo nuovo “padrone” e soprattutto simbolo per eccellenza della città di Palermo e della sua causa risorgimentale alla fine “sposate” da Cirillo: “Che faccio? Parto e loro che sono la mia famiglia, li lascio qua? Partiamo, se partiamo, tutti o nessuno. E sennò restiamo qua. Tanto, ormai che siamo tutti una famiglia, che differenza fa, qua o là? Garibaldi venne in Sicilia? E noi restiamo in Sicilia” (pp. 228-229). 

Un lieto fine, dunque, con l’affare delle “anime morte” che va in fumo e viene soffiato via, insieme ai contratti, dal vento esterno della storia che urge e da quello interno della passione amorosa per una ragazza del popolo in rivolta.