Eschilo, la disumanità del potere

Eschilo, la disumanità del potere

Per iniziativa di “Quelli della radio…”, presso  le mura federiciane Santa Maria di Gesù (scuole rosse) con ingresso via Matteotti, alle ore18,00, una conversazione fra Salvatore Parlagreco, autore del libro “Eschilo, la leggenda dell’aquila assassina”, e la scrittrice Maria Grazia Fasciana.

Qui di seguito il testo della post-fazione del prof. Luciano Vullo, già preside del Liceo Classico Eschilo di Gela. 

Elementare, Watson? No, nient’affatto. Dare senso alla vita non è elementare.

A interpretare l’enigma della Sfinge ci ha pensato Edipo. Lo ha risolto. Ma gli è costato caro.

Sherlock Holmes con il suo metodo deduttivo e con il suo mono-  colo; Guglielmo di Baskerville con le sue competenze logico-deduttive raffinatissime; il rabdomante con il suo bastone biforcuto; tutti cercano su terre problematiche verità come acque preziose. 

Il poeta cerca se stesso. E, forse, trova quello che cercava dopo un lungo e faticoso percorso attraversato con la guida dell’istinto rigorosamente controllato. 

Finalmente si libera della prigionia, di ciò che non sapeva e che pensava fosse un mito. Ed entra nel labirinto letterario, storico e mito- logico. Ed è questo, forse, il cammino della vita della specie umana. Che si svela in quanto il mito è “storia velata” che avvolge come un’“ombra sulla realtà altrimenti condannata al nulla”. Da cui proviene essendo indicibile senza il “velo” della parola. 

Permane questa convinzione. “Eschilo è un alchimista che si serve di parole più che di alambicchi”. È la parola di Apollo a persuadere le Erinni che lasciano l’ira e la sete di sangue e danno fondamenta, divenute Eumenidi-benevoli, alla polis democratica.  È così che si disegna il ruolo del teatro. 

Lo storico-investigatore prende le mosse da una “notitia criminis” e cerca nel labirinto-miniera indizi di varia natura: documenti di prima mano, graffiti, pietre, costumi, credenze religiose, culti misterici e interpretazioni che sono per nulla sufficienti a fornire una prova certa. Ma una verità appare incontestabile: “La politica condiziona il teatro ma non al punto da competere con il consenso che il poeta tragico guadagna nel popolo”.

Così come appare convincente la tesi secondo la quale: “L’arte non affianca il potere, lo contrasta, lo destruttura, lo scompone”. Il teatro di Eschilo porta sulla scena la disumanità del Potere che, pertanto, avversa i poeti. I quali, come lo stesso Eschilo, sollecitano, talvolta in modo velato talaltra in modo esplicito un nuovo pensiero politico e religioso. Come, parrebbe urgente, agli uomini del terzo decennio del XXI secolo! 

Nel mondo antico studiato con la sensibilità dell’uomo nuovo, il teatro era una piazza politica e non solo il luogo dello spettacolo! Ma, ora, il tempo dei re e dei tiranni, più che nel V secolo a. C., è tramontato. Oggi tutto lascia credere che viviamo nell’epoca della democra- zia, dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri. In verità “il nuovo potere democratico non conquista il carisma dell’uomo solo al vertice”! Tutt’altro. 

E il teatro-agorà? 

I nuovi mezzi di comunicazione tolgono spazio all’agorà ed escludono, di conseguenza, il ruolo della parola discorsiva usata da Apollo. Appaiono sulla scena divinità che non ereditano la voglia eroica di Prometeo di donare agli uomini il fuoco con cui costruire il nuovo mondo ricco di messi come era la città di Gela dove Eschilo visse gli ultimi tre anni della sua vita. 

Gela, destinata alla scomparsa del 456 a.C. 

La scomparsa della città di Gela può essere letta come una metafora in quanto “... È la pagina più crudele della storia siciliana”. Per cui, “Raccontare la sepoltura della polis” e dello smarrimento degli indizi relativi alla “notitia criminis” “è come raccontare la fuoruscita da un mondo al tramonto senza il sostegno di un Prometeo che illumini il cammino su una strada tutta da tracciare.” Senza indizi, cioè: elaborando congetture declinate per quello che sono. Però, avvertendo il fascino che esse emanano. 

E verrebbe la voglia, rimanendo nella metafora, di riprendere il cammino iniziato più di un secolo fa da Paolo Orsi che volle rubare ai ladri i preziosi reperti archeologici di una polis ricca di messi non sol- tanto agricole. Ma non è possibile! Quasi tutto è stato sommerso per scomparire definitivamente.

Qualche scampolo preziosissimo viene recuperato per offrire suggestioni e per far volare l’immaginazione verso nuovi cieli. Come quelli descritti dall’Autore di questo bel libro nella pagina conclusiva. Dove, con afflato lirico, descrive il suo rag- giungere la collina che si affaccia sul mare. Che meraviglia il sussurro di voci lontane unite allo sciabordio delle onde. L’aria marina offre la sensazione di benessere. 

Ancora si può godere dello spettacolare tramonto quando il sole, avvolto prima da un rosso purpureo e lentamente dopo da un viola notturno, va a riposare nel sonno dopo lunghi travagli.  Il poeta dichiara espressamente il suo desiderio quando scrive a conclusione del suo faticoso ma bellissimo viaggio: “Placherei così i miei dubbi, subirei volentieri l’irrisione sgarbata del mio teorema sulla morte di Eschilo”. Stringe il guscio di una conchiglia, come prova in- confutabile della verità “divina”. Quasi fosse l’”uovo primordiale” dal quale tutto nasce e verso il quale tutto ritorna... 

Luciano Vullo