Papa Francesco è morto il Lunedì dell'Angelo, dopo quell'ultima struggente apparizione fatta la Domenica di Resurrezione a Piazza San Pietro dove ha dato la benedizione Urbi et Orbi ai popoli del mondo, per poi nutrirsi dell'abbraccio dei fedeli che avevano vissuto le ultime settimane nell'illusione di una prodigiosa guarigione del pontefice, in verità impossibile.
All'uscita del Gemelli dopo 38 giorni di ricovero nessuno che avesse un minimo di buon senso poteva ancora credere che il papa sarebbe sopravvissuto a lungo, dopo la devastante broncopolmonite bilaterale che lo aveva colpito.
E d'altronde, non ci voleva molto nel vedere Francesco a Pasqua sulla papa-mobile, per comprendere che il Santo Padre aveva ormai esaurito tutto il suo impulso vitale e probabilmente l'Ictus che lo avrebbe ucciso da lì a poche ore era già in corso.
Cosa rimarrà del Magistero di papa Francesco? Lo sapremo con l'elezione del nuovo pontefice che potrà continuare l'opera di Bergoglio oppure fare tornare indietro le lancette dell'orologio di 12 anni e riportare la Chiesa a quella che era prima, con tutti i pregi e le contraddizioni che l'Istituzione “petrina” bimillennaria si porta dietro, forse proprio dall'indomani che Gesù è salito in cielo (io parlo naturalmente da credente).
Lasciando infatti Cristo la sua Chiesa agli uomini, questi l'hanno governata come meglio hanno potuto, con tanti beati, martiri e missionari che l'hanno santificata e glorificata, e molti “misticatori e briganti ” che l'hanno offesa e mortificata. Certamente va dato merito a papa Francesco di avere cercato di riportare al centro del suo pontificato il Vangelo e l'uomo.
Una missione quella del papa argentino dove gli ultimi (gli immigrati, i diseredati, i carcerati, i malati) sono stati il suo primo pensiero, direi la sua “santa” ossessione. Prendendo il nome del poverello d'Assisi, il santo più amato dalla cristianità, egli ha subito voluto dare un'impronta chiara al suo pontificato, e da gesuita è risultato essere il più credibile dei francescani.
Le sue encicliche Laudato sì e Fratelli tutti ne hanno sintetizzato eloquentemente il pensiero, la sensibilità verso il Creato e gli uomini. Egli poi ha predicato la Pace e l' ha ricercata fra i popoli, le nazioni, le religioni, con una coerenza e una pervicacia ammirevoli.
Papa Francesco, sin da quando nella sua Buenos Aires era un semplice parroco, è stato sempre da parte degli uomini e delle donne che soffrono. Vicino alle famiglie in difficoltà. Ai vecchi e ai giovani. Ai nonni e ai nipoti. Ha denunciato le sopraffazioni, le violenze, le ingiustizie sociali, le prevaricazioni politiche. Insomma ha combattuto, come direbbe san Paolo, la sua “buona battaglia”.
Ma se questo papa si è guadagnato un angolo di Paradiso, certamente non si può dire che abbia vinto la sua sfida al mondo. Pragmaticamente e tristemente mi sento di dire che Francesco è stato un papa “perdente” perché non ha vinto nessuna delle sue battaglie, né sui migranti, né sulla necessità di salvare il pianeta, né sulle carceri (i governi succedutisi nei suoi anni non hanno mai migliorato lo stato delle nostre prigioni), né alla fine del suo percorso terreno ha potuto scorgere anche un piccolo “germoglio di pace”.
Anzi, se n'è andato mentre continuano ad essere perpetrati crimini e massacri in Ucraina, a Gaza e in tante altre parti del mondo (sono 57 i conflitti che oggi insanguinano i 5 continenti). Nessuno fra i potenti ha accolto mai le parole del papa, la sua disperata lotta ai mali del mondo. Certo, alle esequie del pontefice, abbiamo assistito “dietro le quinte” a qualche maldestro approccio fra i vari capi di stato per risolvere le questioni che preoccupano le nazioni.
Rimarrà nella storia l'immagine del presidente degli Stati Uniti e dell'Ucraina seduti all'interno della Basilica, che nella loro postura sembravano essere un confessore (Trump) e un penitente (Zelensky); in realtà due tragiche maschere di un tempo che non promette nulla di buono.
Rimango infatti molto scettico sulla pace perché essa passa attraverso la mente malata di un assassino e sanguinario che corrisponde al nome di Vladmir Putin. In verità se papa Francesco ha vinto nella coerenza, ha perduto nei fatti, semplicemente perché ha osato “rispolverare “ sine glossa il Vangelo, che è oggi la vera eresia del mondo.
D'altronde, della fine dell'Occidente cristiano e dei gravi mali della Chiesa, aveva già compreso tutto Benedetto XVI, il papa pensatore e teologo che abbandonò il Soglio di Pietro perché inorridito dalle fosche ombre che si stavano allungando sull' Umanità.
Francesco quindi ha ereditato il malessere di papa Ratzinger, se n'è fatto carico, ma a differenza del suo predecessore ha accettato la sfida per un vero e profondo rinnovamento della Chiesa, anche a costo di divenire un papa “divisivo”.
Egli infatti si è inimicato una parte della gerarchia che ha visto sempre con sospetto questa sua umiltà fin troppo ostentata, il volere vivere a Santa Marta lontano dagli appartamenti vaticani, il non osservare le regole del protocollo, il decidere infine di essere chiuso in una modesta cassa di legno (ma questo lo aveva già fatto Paolo VI) ed essere sepolto a Santa Maria Maggiore sotto la sacra icona della Madonna Salus Populi Romani.
Si è detto più volte che, secondo alcune inquietanti profezie, papa Francesco sarebbe stato l'ultimo papa. E in un certo senso è vero. Bergoglio è stato l'ultimo pontefice di una civiltà in avanzato stato di “decomposizione”; questo egli lo ha compreso e lo ha sofferto sino al suo ultimo respiro. Così, se n'è andato senza essere riuscito nella sua missione di pacificatore e di riformatore.
Avrebbe dovuto avere molto più tempo, e l'anagrafe e la sempre precaria salute non l'hanno aiutato, nonostante il suo ammirevole stoicismo che faceva il paio anche con un “carattere” non sempre docile e permissivo.
Attendiamo allora con speranza il nuovo pontefice, che non dovrà essere necessariamente un sosia o una fotocopia di Bergoglio, ma una figura comunque autorevole e determinata, decisa nel ricercare la pace, la giustizia sociale, capace poi di ricordarsi sempre di essere “Pietro”, il prescelto da Gesù Cristo. Dobbiamo però avere anche consapevolezza che la salvezza dell'umanità non passa mai da una singola persona.
Lo diceva pure Francesco quando ammoniva: “Ciascuno è padrone del proprio destino, ma è insieme che possiamo costruire un destino migliore”. Bisognerebbe allora capire che siamo tutti sulla stessa barca. Che lo imparassero pure i potenti. O ci salviamo insieme o non si salva nessuno.