«Gela deve morire!», apologia dello sviluppo di una città

«Gela deve morire!», apologia dello sviluppo di una città

Vi rassicuro. Nessuna invocazione accusatoria nei confronti della mia città. Nessuna cattiveria evocata. Il titolo trae in inganno. Nasconde un tema che, per sintesi, richiede una battuta fraintendibile. Molto fraintendibile.


Di che stiamo parlando? Di campagna pre-elettorale cittadina. Quella tipica ordalia di prevalutazioni, annusamenti, percezioni, contatti accennati, accordi simulati e tentati, proposte ricercate e salvifiche, patti d’onore e di finalità… insomma tutto quello che una preparazione pre-elettoralistica induce in un territorio abituato a cercare alleanze ancor prima degli scopi. E’ questa una campagna elettorale gelese: fissare i termini della vittoria prima ancora di aver condiviso fini e pratiche.

Chiaramente, quanto affermato, ha un tono tra l’ironico e il reale. A ciascuno stabilire quanto prevale dell’uno o dell’altro. Ma veniamo al dunque sul titolo. Perché Gela deve morire all’interno della campagna pre-elettorale municipale?
Il nuovo fenomeno socio-politico cittadino, alla ricerca di un sindaco, ha tre elementi nuovi che farciscono clima e prassi degli attori politici. Enunciamoli e trarremo le motivazioni del perché del titolo.

1° fenomeno. La politica è morta! Queste elezioni, per la scelta del prossimo sindaco, in una Gela temporaneamente commissariata, rendono il passato più importante del futuro. Sì, perché siamo reduci da una azione e una reazione che completa un ciclo. La sinistra governativa, che ha retto l’amministrazione cittadina per tanti lustri, è stata accusata di tutto, ha subìto un giudizio cittadino drastico. Un giudizio che ha attraversato fatti e sorti del nostro ex- sindaco ed ex-governatore che ha legato la sua immagine, giustamente o non giustamente (non è interessante indagare qui il tema), alla chiusura della economia petrolifera a Gela.

Ma la sinistra è stata accusata anche di altro: di familismo, di vetero-dirigismo, di mancata parsimonia economico-amministrativa. Insomma, un campionario, più o meno giustificato, di intollerabilità che ha portato il nuovo partito movimentista del comico e della società informatica a gestire le sorti di Gela. Ma dopo una campagna elettorale di rottura con il passato delle gestioni della sinistra governativa, campagna che prometteva una Gela internazionale nel Mediterraneo, i Gelesi hanno gustato o ingurgitato la più penosa discesa nelle inefficienze funzionali, dai servizi di base al decoro della città, fino alla perdita di quella spinta demografica che aveva reso Gela città rilevante nella classifica regionale.

Gli elettori, nonché cittadini, hanno cioè chiuso il cerchio. Hanno sperimentato l’azione e la reazione, la riscossa e l’assaggio dei frutti della riscossa, l’abbandono del “vecchio” e i limiti del “nuovo”. L’effetto è che oggi i temi cittadini non sono più temi di ricerca di uno sviluppo futuro, ossia di una crescita o di un rafforzamento dell’economia locale.

Oggi i temi sono il funzionamento dei servizi di base, quelli ovvi, necessari, indispensabili. Smaltimento rifiuti, acqua, sicurezza, viabilità. I temi di crescita sono stati scalzati dai temi di sopravvivenza civica. Tutto questo caratterizza il 1° fenomeno che possiamo chiamare “fine della politica a Gela”. La politica nasce e prospera se c’è un dibattito sul futuro della città, sul suo potenziamento, demografico, economico, di vivibilità.

Oggi l’elettorato può solo chiedere servizi di base erogati ad un livello di decenza. Chiedere altro si scontra con il meccanismo di azione/reazione che le ultime campagne elettorali hanno dimostrato far sprofondare la città in un peggioramento, in un contesto di aspettative più ampie e perciò deluse. Quindi, questa campagna elettorale cittadina non parla più di politica ma di temi amministrativi di base, perché sa che le esperienze amministrative che ci hanno preceduto hanno dimostrato che non sempre il ripudio del vecchio e il rilancio del nuovo creano, per legge matematica, un miglioramento. Ora l’effetto è che Gela non sa e non vuole parlare più di politica, solo di servizi di base. Almeno la credibilità su questi temi la si può verificare con più facilità.

2° fenomeno. L’esplosione del civismo partitico. Ossia la crescita di simboli e loghi che raccolgono gruppi di cittadini che non si fidano più dei partiti storici, anche i più recenti. Questo civismo è alla ricerca di idee, di proposte, di soluzioni ma ha un limite, invalicabile. Vede Gela come il perimetro in cui si aprono e si chiudono i processi socio-economici. Gela come città-Stato per la quale si possa riuscire a progettare, con energie e risorse interne, un futuro, un assetto che duri. Madornale errore! E questo atteggiamento da mentale diventa anche emotivo, tanto da sconfinare in frasi di amore e affetto per la città, quasi fosse una donna che ammicca.

Per cui il civismo, più che assumere i contorni di una ricerca di nuovi orizzonti su cui chiudere i processi socio-economici di Gela, diventa il luogo in cui rifugiarsi per ridurre ancor di più il perimetro della città, una città-stato, ipotizzata autonoma nelle risorse, nelle opportunità e nelle esigenze.

Non è un giudizio sulle varie entità civiche che, in quanto a passione, raccolgono quello che è rimasto della tradizione politica locale e spesso, proprio all’interno di questi nuovi raggruppamenti, si accumula una voglia di riscatto sentita. Ma la logica che pervade il nuovo civismo parte dal convincimento che i processi, che condizionano Gela come città e come economia, stanno tutti dentro la città. Non è un caso che il mondo dell’impresa locale familistica guardi a questi raggruppamenti con maggior foga ed adesione. Purtroppo la realtà ci dice che le sorti di Gela vivono di meccanismi che non si chiudono dentro la città, oggi più di ieri.

3° fenomeno. “Gela” cessa di esistere. Eccoci alla spiegazione del titolo. E’ chiuso il ciclo politico di azione/reazione con una delusione collettiva tangibile, che ci rende tutti meno fiduciosi nel futuro, a cui si aggiunge la constatazione che il civismo partitico è una reazione di chiusura all’interno di logiche cittadine. Osservato che la politica cede il passo ai temi amministrativi (perché la politica ingloba i temi amministrativi ma non si esaurisce su questi), la prospettiva che rimane da sondare è che “Gela deve morire”. In che senso? In senso truce? Giammai. In senso intellettuale! Solo in quello.

Significa cessare di pensare che i processi in cui viviamo siano solo cittadini, cessare di pensare che le economie si pianificano e si creano dentro la municipalità. Cessare di sentirsi autosufficienti con l’assetto economico familista che ha intriso l’economia gelese per decenni. Gela vive di processi esterni a sé stessa, vive delle opportunità che riuscirebbe a cogliere se guardasse un po’ fuori da sé, qualora fosse meno malata di localismo.

Comiso è un aeroporto che simboleggia il rilancio della Sicilia sud-orientale e non solo di Comiso; il nuovo assetto della zona industriale petrolifera sta facendo nascere nuovi impianti che stanno mettendo in pista convenzioni e accordi con realtà esterne a Gela (trattamento del rifiuto organico urbano con l’azienda di smaltimento di Ragusa, raccolta di olii esausti con Consorzi extracittadini, etc.); la vocazione portuale e marittima di Gela trova spazi se cerca alleanze con altre realtà portuali senza pensare di diventare un hub partendo da un porto rifugio. Per non parlare dell’apertura della città al commercio organizzato di grandi marchi che possono insediarsi con ricadute occupazionali (mentre passa inosservata l’espansione inarrestabile dell’e-commerce internazionale).

Temi che hanno come caratteristica il pensare che i processi economici nascono e si chiudono fuori da Gela ma che possono attraversare la città. Temi che non nascono da una progettazione municipale, impossibile da compiere, ma dal tenere alte le antenne che colgono opportunità esterne alla città per farle transitare da Gela. Ricerca di opportunità, non progettazione localistica dell’economia. Questa è la realtà della evoluzione cittadina. La cruda e vera realtà. Acchiappare treni che passano, non progettare treni, con le economie scarse e in decrescenza di una municipalità locale.

Ecco cosa significa che “Gela deve morire”, significa che, per far vivere Gela e consegnare una nuova possibilità ai giovani di questa città, occorre pensare ai processi esterni a Gela, che possono essere fatti passare dalla città. Pensare Gela come una città di transito di processi che nascono e si chiudono fuori da essa. Pensare a Gela come luogo del mondo attuale, non come una amante con la quale chiudersi in una stanza asfittica. Pensare cioè che quella “Gela”, madre di una politica da città-stato, deve definitivamente morire!